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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoli«L’uomo cerca la leggerezza perché non vuole vedere l’abisso». È una delle laconiche frasi pronunciate da Anselm Kiefer nel documentario che Wim Wenders ha voluto dedicare a uno dei più importanti e influenti artisti tedeschi contemporanei. Chiamarlo documentario è riduttivo, è un’opera cinematografica che mette in luce l’essenza di chi quell’abisso lo ha voluto scrutare in profondità. Nato nel 1945, a ridosso della fine della seconda guerra mondiale, a Donaueschingen, in prossimità della Foresta Nera, Kiefer esplora e condensa nel suo lavoro potente e poetico il senso di colpa di un popolo macchiatosi dello sterminio di 6 milioni di ebrei. I suoi dipinti, sculture e installazioni si nutrono di rimandi alla storia, alla letteratura, alla filosofia, alla poesia. Opere monumentali ricoperte di materia pittorica spessa, densa e tormentata, attraversate da combustioni, sabbia, piombo, cera, stagno, semi e rami secchi, da colori simili a quelli di una terra arida, brulla, silenziosa e desolata che l’uomo attraversa per rigenerarsi in una sorta di catarsi. Un racconto poetico restituito da Wim Wender in un documentario che ha tutta la forza e la visionarietà del linguaggio cinematografico, capace, come il lavoro di Kiefer, di lambire quell’abisso, di evocare il mistero e il significato dell’esistenza umana e la natura ciclica della storia. Un incredibile ritratto artistico e biografico frutto di due anni di lavoro durante i quali il regista ha ripercorso le orme di Kiefer dalla nativa Germania alla sua attuale casa in Francia dove tutto, dalla sua infanzia alle sue ultime creazioni, confluisce in un racconto più simile a un sogno che a una narrazione biografica.

Anselm Kiefer e Wim Wenders Cortesia Lucky Red
In «Anselm», distribuito da Lucky Red nel 2023 e visibile dal 30 aprile nelle sale cinematografiche italiane anche in versione 3D, lo schermo diventa il luogo di un incontro tra due menti straordinarie, quella di Wenders, anche lui tedesco, anche lui nato nel 1945, e quella di Kiefer. «Wenders dialoga qui con un altro sé, lui che era nato appena dopo la fine della guerra (il 14 agosto 1945) e Kiefer appena prima (l’8 marzo 1945). È l’incontro fra due menti che si sono scelti arti diverse, per dire il più delle volte cose diverse, ma consci di condividere fronti e traiettorie comuni e doverle far dialogare, come in un grande pensatoio, un grande atelier, una grande mente artistica collettiva», scrive Carlo Giuliano per luckyred.com. Un poetico e suggestivo viaggio in cui convergono luoghi, reali e immaginari, migliaia di opere realizzate da Kiefer e di materiali da lui archiviati, storie, personali e collettive, paesaggi, veri, inusuali e abbandonati, progetti, realizzati e non, tecniche, ricordi, libri, frasi, musiche e silenzi, l’intero universo, insomma, che si cela dietro l’uomo, l’artista e il suo lavoro. La luce, i colori, l’oscurità e le follie che Kiefer esprime nel suo lavoro «sono le stesse che Wim Wenders cattura compiendo un ulteriore dipinto: l’artista è presente con le sue ombre e la sua luce, la sua storia, i suoi ricordi, la sua immaginazione, la sua disperazione, la sua speranza. Wenders le amplifica immergendoci nella sua opera d’arte e di vita», scrive ancora Margherita Bordino per luckyred.com. Un film da vedere e un’incredibile parabola dell’arte, dell’esistenza umana e del senso dell’eterno ritorno.
Wim Wenders presenterà il documentario in collegamento con i cinema italiani, giovedì 2 maggio alle ore 21
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