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Le operazioni di salvataggio delle pitture murali del Monastero di Sijena dopo l’incendio del 1936

Courtesy Arxiu «El Punt/Avui»

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Le operazioni di salvataggio delle pitture murali del Monastero di Sijena dopo l’incendio del 1936

Courtesy Arxiu «El Punt/Avui»

Barcellona, il Mnac deve restituire le pitture murali romaniche di Sijena

La Corte suprema ha messo fine a un contenzioso che si trascina da anni imponendo il ritorno del ciclo pittorico nel monastero aragonese da cui era stato asportato dopo un incendio

Il contenzioso che da anni, in Spagna, oppone i governi della Catalogna e di Aragona per la custodia delle pitture murali della sala capitolare del Monastero di Santa Maria di Sixena (Sijena in spagnolo), un insieme di eccezionale valore tra i più importanti del Romanico europeo, sembra essere giunto alla peggiore conclusione possibile. La Corte Suprema spagnola ha respinto tutti i ricorsi della Generalitat (Governo della Catalogna) e del Museu Nacional d’Art de Catalunya (Mnac) di Barcellona, dove le opere sono custodite fin dalla guerra civile spagnola, rendendo definitiva la sentenza che, contro il parere degli esperti, impone al museo di restituire le pitture al monastero che sorge nel Comune di Villanueva de Sijena (Huesca), oggi aragonese, ma all’epoca dei fatti appartenente alla Diocesi di Lleida (quindi catalano).

Nel 1936, durante la guerra civile il monastero fu incendiato e numerose opere e oggetti liturgici furono rimossi e trasferiti. A salvare le pitture romaniche, un ciclo del 1200 raffigurante episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, fu lo storico dell’arte e architetto Josep Gudiol. I frammenti superstiti erano gravemente danneggiati e il colore andò perduto. «Senza l’intervento di Gudiol non sarebbero oggetto di nessuna disputa perché sarebbero stati distrutti. Suscita indignazione il fatto che ora venga insultato come se fosse il ladro, o addirittura, in un estremo delirio di calunnia, complice dei piromani», tuona il medievista Francesc Fontbona in un’intervista sul quotidiano catalano «El Punt/Avui». 

Le pitture, estremamente delicate, non si sono mosse dal Mnac dal 1961. Secondo storici, medievisti, museografi e restauratori un trasferimento (peraltro motivato da ragioni prettamente politiche) sarebbe deleterio. Ai rischi derivanti dallo spostamento e dai cambiamenti ambientali di temperatura e umidità, si aggiunge il pericolo di collocare opere di questo valore in un luogo non attrezzato né per conservarle né per esporle. 

Il team del Mnac ed esperti internazionali sostengono che «la rimozione comporterebbe il rischio di alterazioni e danni irreparabili: la sentenza non tiene conto della fragilità e del valore patrimoniale dei dipinti». L’Institut d’Estudis Catalans ricorda che «i materiali utilizzati nel trasferimento di un dipinto murale su tela sono molto reattivi alle sostanze contaminanti e il Mnac dispone di meccanismi di controllo che garantiscono una qualità dell’aria tale da evitare alterazioni chimiche irreversibili, che potrebbero causare la disintegrazione dei materiali costituenti». 

Il restauro e la reintegrazione del 35% effettuata da Gudiol nel 1940 hanno facilitato la comprensione e leggibilità dell’insieme pittorico. «Il ripristino di una superficie così ampia rappresenta un unicum nella storia del restauro conservativo in Catalogna e anche questo deve essere preservato. Nel 2006, questa tecnica è stata utilizzata per la ricostruzione degli affreschi del Mantegna nella Cappella Ovetari a Padova», ricordano i restauratori del Mnac.

 

 

Al Mnac dal 1961

La ricostruzione del monastero venne avviata intorno al 1960. Nel 1970 le suore custodi del complesso si trasferirono in un convento vicino a Barcellona. Molte opere furono portate via e depositate al Mnac e nel Museo Diocesano di Lleida. Tra gli anni ’80 e ’90, le religiose vendettero alla Generalitat de Catalunya un centinaio di beni del monastero per l’equivalente odierno di oltre 450mila euro.

La vendita più controversa riguarda i 44 pezzi ceduti nel 1983 al Museo di Lleida: tra i beni alienati figuravano tre tombe di tre priore, quattro tavole policrome e alcuni dipinti su tela del Settecento, altorilievi in alabastro della metà del Cinquecento. La transazione fu contestata dal governo di Aragona, secondo il quale le opere erano parte indivisibile del monastero, dichiarato Bene di Interesse Culturale (Bic). Fu l’inizio di una lunga battaglia legale. A luglio 2016 il Tribunale di primo grado Huesca dichiarò nulla la vendita per inosservanza dell’indivisibilità del Bic e respinse i ricorsi presentati dal Mnac e dalla Generalitat.

In esecuzione della sentenza, quell’anno vennero restituite al monastero 51 opere nel frattempo dal Mnac, ma non i dipinti murali. La sentenza del 2016 fu impugnata e confermata  dal Tribunale provinciale di Huesca nel 2020. Fino all’epilogo dello scorso 28 maggio, quando la Corte Suprema ha confermato quest'ultima sentenza e ha disposto la restituzione dei dipinti murali al monastero di Sijena.

Dal punto di vista legale resta poco da fare, ma il Mnac non si arrende. 

Il prossimo 16 giugno si riuniranno in sessione plenaria Generalitat, Comune di Barcellona, Ministero della Cultura e una ventina di enti privati, per concordare come affrontare la situazione. Il socialista Salvador Illa, presidente della Generalitat, ha dichiarato che la sentenza deve essere rispettata e ha affidato la procedura ai tecnici del museo: figure fondamentali, perché conoscono meglio di chiunque lo stato di fragilità delle pitture e i pericoli connessi al trasferimento. Si spera che il Ministro della Cultura, Ernest Urtasun di Sumar, partito della coalizione di governo di Pedro Sánchez, difenderà la tutela dell’opera, come ha fatto a suo tempo con «Guernica» o la «Dama di Elche».

La consigliera per la Cultura della Generalitat, Sònia Hernández, ha dichiarato che «si sta affrontando la sentenza dal punto di vista giuridico, tecnico, museologico e patrimoniale». Nove ex consiglieri del Governo catalano hanno promosso un «Manifesto contro la restituzione» in cui segnalano che la sentenza non tiene conto di criteri storici, tecnici e scientifici e  delle argomentazioni di legittimità della Catalogna. 

Lo storico Jorge Jiménez, docente di Arte romanica all’Università di Saragozza (capoluogo dell’Aragona), sottolinea che, a differenza del Mnac, dove gli affreschi sono inseriti in un percorso museale coerente, non è ancora chiaro come saranno esposti a Sijena. Segnala inoltre che «assai di rado» le pitture murali rimosse possono tornare al loro sito originale e ricorda che per essere esposte al Mnac alcune delle opere sono state modificate . 

«Perché, sapendo che esistono altri dipinti di Sijena scomparsi, come quelli che decoravano la sala capitolare, il Governo aragonese non si è preoccupato di cercarli, acquistarli ed esporli degnamente al pubblico, anziché perseguire la Catalogna in tribunale e diffamarla sulla stampa?» conclude la ricercatrice e saggista esperta in arte romanica, Montserrat Pagès.

 

 

Una veduta della sala delle pitture romaniche di Sijena al Mnac nell'allestimento di Gae Aulenti

Roberta Bosco, 06 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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