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Anna Maria Farinato
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Nell’affollato panorama mondiale delle biennali, un argomento al quale dedichiamo un ampio servizio nel numero di giugno di «Il Giornale dell’Arte» in edicola la prossima settimana, si affaccia coraggiosamente un nuovo attore. In Uzbekistan gli organizzatori hanno comunicato i dettagli del programma interdisciplinare e l’elenco degli artisti partecipanti alla prima Biennale di Bukhara, che prenderà il via il prossimo 5 settembre (fino al 20 novembre) nell’antica città sulla Via della Seta.
A una folta schiera di artisti uzbeki si affiancano una cinquantina di loro colleghi internazionali, tra cui Antony Gormley, Eva Jospin, Wael Shawky, Carsten Höller, il collettivo Slavs and Tatars, Delcy Morelos, Subodh Gupta, Erika Verzutti, e, in rappresentanza anche dell’Italia, dove vivono, Binta Diaw (nata in Senegal) e Bekhbaatar Enkhtur (nato in Mongolia).
Curata dalla losangelina Diana Campbell, l’edizione inaugurale presenterà oltre 70 progetti site specific, concepiti con la collaborazione di artigiani locali. Sostenuta dal lavoro pluriennale della Fondazione per lo sviluppo dell’arte e della cultura dell’Uzbekistan, che da oltre sette anni supporta e collabora con artigiani di tutto il Paese, la biennale è profondamente radicata in un impegno costante a favore dell’arte, dell’artigianato e dell’istruzione, guidato dalla commissaria Gayane Umerova. «L’edizione di quest’anno vedrà per la prima volta l’interpretazione di mestieri storici da parte di artisti contemporanei, sottolinea Umerova, segnando una tappa importante verso la conservazione dell’architettura e il rilancio delle radici storiche di Bukhara come luogo di invenzioni, studi intellettuali e arti».
Il titolo, «Recipes for Broken Hearts» (Ricette per cuori spezzati), guarda a una leggenda locale secondo cui la ricetta del palov, il piatto tipico uzbeko (il nome è un acronimo delle parole che nella lingua del paese indica gli ingredienti da cui è composto: P per cipolla, A per carota, L per carne, O per olio, V per sale), fu inventata dal padre della medicina moderna, Avicenna, per curare il mal d’amore di un principe che non poteva sposare una ragazza povera.
Bukhara, parte della rete delle «città creative» dell’Unesco, disseminerà gli appuntamenti della biennale in diversi luoghi storici, in molti casi freschi di restauro (tra cui il complesso Khoja-Gavkushon e l’Ayozjon Caravanserai) e in linea con il suo concept, il cibo sarà al centro: chef uzbeki e internazionali cucineranno insieme. Nel Café Oshqozon, uno dei centri nevralgici della biennale, gli artisti uzbeki Abdurauf Taxirov e Oyjon Khayrullaeva creerano un’opera a mosaico a forma di stomaco che verrà collocata sopra la porta (Oshqozon, non caso, in uzbeko significa stomaco). «Il Café Oshqozon, sottolineano gli organizzatori, è il fulcro del concetto curatoriale della biennale: un corpo, nutrito da un banchetto comune e nutriente di diverse forme d’arte», ispirato al già citato Avicenna (o Ibn Sina), originario di Bukhara, e alle sue ricette per la guarigione fisica ed emotiva. Accogliendo i visitatori per condividere piatti che riflettono le tradizioni culinarie globali della storia di Bukhara nel commercio mondiale delle spezie, accompagnati da conferenze, workshop, conversazioni o film, il Café Oshqozon diventa uno spazio per celebrare il cibo come mezzo emotivo, intrecciando storie di dolore e guarigione in rituali culinari performativi.
Ad aprire e chiudere la Biennale, del resto, sarà lo chef e monaco buddista sudcoreano Jeong Kwan, che esplorerà la preparazione del cibo come atto di meditazione. L’Uzbekistan ospita la più grande diaspora coreana dell’Asia centrale e Jeong Kwan onora questo patrimonio preparando il kimchi, tradizionalissimo piatto della cucina coreana a base di cavolo fermentato e spezie, e introducendo i visitatori all’arte trasformativa della fermentazione. I visitatori potranno quindi, letteralmente, assaporare il tempo della biennale: i cibi fermentati preparati all’inizio della rassegna verranno scoperti alla chiusura per essere consumati in un pasto che celebra le proprietà curative del tempo.
Dal canto suo, Carsten Höller, insieme agli chef uzbeki Bahriddin Chustiy e Pavel Georganov, per tutta la durata della biennale «trasformerà il cibo in un punto di incontro tra scienza, arte ed emozione». La colombiana Delcy Morelos lavorerà con il mercante di spezie uzbeko Abdulnabil Kamalov a una scultura a forma di ragnatela realizzata con spezie, terra desertica e sabbia, mentre l’egiziana Laila Gohar svelerà un padiglione fatto di cristalli di sale. La giordano/belga Samah Hijawi e l’uzbeko Ahmad Arabov daranno vita insieme a un murale ricamato di 15 metri che mappa il movimento del cibo e delle spezie commerciati lungo le Vie della Seta.
La collaborazione dell’indiano Subodh Gupta con lo chef uzbeko Pavel Georganov è ispirata al patrimonio architettonico di Bukhara e la loro esperienza culinaria sarà ospitata in una cupola monumentale ricoperta da piatti smaltati dell’era sovietica. La struttura a cupola ripercorre i legami culinari e architettonici tra l’Uzbekistan e l'India, abbattendo la distanza tra l'Asia centrale e meridionale, visibile nel rapporto tra alimenti come i samsa e i samosa.
Il programma biennale è percorso interamente da un intreccio di tradizioni spirituali e culturali, da un intersecarsi di conversazioni interdisciplinari e collaborazioni creative provenienti da tutto il mondo. Nella «Casa della Morbidezza», nella cinquecentesca Madrasa Gavkushon, un baldacchino sospeso ai gelsi del cortile offrirà ombra ai visitatori. Progettato dall’artista e architetto indiano-statunitense Suchi Reddy e intitolato «Patterns of Protection» questo manufatto protettivo s’ispira ai motivi ricamati dell’Ikat, il tradizionale tessuto uzbeko: motivi familiari che evocano sensazioni di guarigione e sicurezza.
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