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Caravaggio, «Cattura di Cristo», 1602

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Caravaggio, «Cattura di Cristo», 1602

CARAVAGGIOMANIA | Chissà perché piace tanto

Caravaggio scatena passioni e velleità di giornalisti e storici dell'arte: il caso dell'«Ecce Homo» bloccato prima dell'asta a Madrid ha riacceso le smanie

Arabella Cifani

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Gli studi di Storia dell’arte in Italia latitano. Così pure l’arte di scrivere libri di qualità, monografie fondate, saggi di studio. Giacciono inesplorati interi settori della storia dell’arte. Le scoperte, invece, i pettegolezzi, le minuzie le quisquilie su Caravaggio fioriscono e verdeggiano ridenti come orti del Parnaso. Se ripensiamo anche solo agli ultimi decenni, quante cose sono successe sotto il nome di Caravaggio? E quante sono rimaste? E perché piace e interessa ancora tanto?

Una valanga di libri, innanzitutto. Nel catalogo online della Biblioteca Hertziana di Roma e delle sue associate sono registrati almeno 4mila titoli che riguardano il pittore, suddivisi fra libri, articoli e saggi. Per un periodo che va dal 1842 al 2021. Le pubblicazioni di volumi fra il 2000 e 2021 sono oltre cinquecento; quasi novecento i saggi.

Le mostre dedicate al pittore dal 1911 ad oggi sono 350. Oltre 250 fra 2000 e 2021. Caravaggio, bello e dannato, è stato protagonista di film e fiction: almeno 8 dal 1941 ai nostri giorni tutti accomunati da stereotipi caravaggeschi fra sguardi torvi e duelli. Sei i principali spettacoli teatrali dal 2008, senza contare i molti delle compagnie minori. La Disney e Milo Manara gli hanno dedicato tre libri a fumetti.

In quanto a stravaganze non manca proprio nulla: dalla ricerca (con farsa del ritrovamento) delle ossa del pittore a Porto Ercole nel 2010, a quelli che vedono nelle tele dell’artista simboli esoterici, geometrie simboliche, autoritratti, metamorfosi animali e angeliche, figure demoniache. Fra gli storici dell’arte e gli antiquari negli ultimi trent’anni è facile trovare scopritori di nuovi Caravaggio in un intreccio esemplare di narcisismo e avidità.

Di tutto ciò non resta quasi nulla di sicuro, se non la «Cattura di Cristo» di Dublino, già nelle collezioni Mattei, ritrovata nel 1990 e corroborata da impeccabili attestazioni d’archivio. Tutti gli altri quadri annunciati e promessi sono stati e sono ancora oggetto di dispute accanite. I documenti ritrovati relativi a Caravaggio in questi ultimi anni sono pochi, seppure importanti; legati essenzialmente a pagamenti nell’ambito delle grandi famiglie romane e a successivi spostamenti e vendite. L’anima del grande pittore però non ne esce fuori.

Caravaggio è pop? Parrebbe proprio di sì. Piace a tutti, giovani e vecchi, acculturati e non. Da dove origina questo successo? Dal mito romantico, ma che funziona sempre, del genio ribelle dalla vita spericolata alla Steve McQueen, che non dorme mai, vuole una vita piena di guai e che muore giovane. Di lì a capirlo e sapere chi era veramente e cosa ha fatto la strada è ancora lunga.

Nella penuria di opere caravaggesche autentiche, il desiderio spasmodico degli studiosi concorre a ingemmare il ricordo di Caravaggio, facendolo apparire anche dove non c’è. Si affrontano così quadri sporchi, larve di tele distrutte, dove l’occhio dell’esperto si volge verso un particolare che galleggia sulla devastazione, su un dettaglio che brilla nello sfacelo. Tanto basta per riconoscere l’artista idolatrato, il tesoro sepolto, il quadro inabissato.

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Arabella Cifani, 11 maggio 2021 | © Riproduzione riservata

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