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Giuseppe M. Della Fina
Leggi i suoi articoliVulci è stata una delle maggiori città-stato etrusche in grado di esercitare un ruolo di primo piano nelle vicende della penisola italiana durante gran parte del I millennio a.C. Lo testimoniano opere di valore assoluto restituite a partire dai decenni iniziali dell’Ottocento e in grado di documentare le diversi fasi che hanno scandito la storia degli Etruschi: dal periodo denominato villanoviano sino alla piena romanizzazione.
La fase meno nota della polis è proprio quella più antica (950-725 a.C. ca), dato che nessuno dei sepolcreti villanoviani era stato interessato sinora da un esteso scavo scientifico. Questo nonostante Vulci avesse restituito, negli anni Cinquanta del Novecento, una delle sepolture di epoca villanoviana più significative dell’intera Etruria, vale a dire la Tomba dei Bronzetti sardi, il cui corredo accoglieva, tra l’altro, tre bronzetti provenienti dalla Sardegna nuragica a segnalare l’ampiezza dei contatti della società vulcente già nel IX secolo a.C.
Tale lacuna, significativa sul piano archeologico e storico, viene colmata ora dalle campagne di scavo (di cui la seconda si è appena conclusa) condotte nella necropoli di Ponte Rotto dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Napoli «Federico II», in sinergia con le Università di Basilea e di Cardiff, sotto la direzione di Marco Pacciarelli. Le nuove ricerche sono state possibili grazie alla collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale, la Fondazione Vulci e il supporto della società Pegaso.
Nella necropoli di Ponte Rotto, durante i secoli successivi, si concentrarono monumenti funerari di rilievo eccezionale come il tumulo della Cuccumella e la tomba François, nota per il suo straordinario ciclo pittorico. «Le due campagne di scavo hanno consentito di indagare oltre 50 sepolture datate tra il IX e gli inizi del VI secolo a.C., perlopiù facenti parte di un unico nucleo topografico, forse pertinente a una famiglia o a un piccolo gruppo di parentela», ha dichiarato Pacciarelli.
E ha aggiunto che: «Delle tombe individuate una è di fine VII secolo a.C., del tipo con dromos di accesso e vestibolo a T scoperto che dava accesso a due camere. Un’altra, pressoché coeva o poco più antica, è costituita da un grande ambiente scoperto rettangolare circondato da un’ampia risega che serviva ad alloggiare una copertura di grandi lastre di calcare palombino, che poggiavano su una trave lignea disposta lungo l’asse centrale».
Pacciarelli ha affermato inoltre che: «Altre sette-otto sepolture, in buona parte intatte, sono del tipo con il defunto disteso entro una fossa e accolgono significativi manufatti di corredo databili circa dalla metà dell’VIII alla metà del VII secolo a.C. Oltre quaranta sepolture appartengono invece al tipo coi resti della cremazione del defunto deposti entro un’urna in ceramica coperta da una scodella e da un coperchio (spesso imitante un elmo), sepolta entro un pozzetto a volte insieme a vasi, ornamenti, utensili o armi. Si tratta delle tipiche tombe della civiltà villanoviana della prima Età del Ferro. Lo scavo ha permesso di accertare che alcuni sepolcreti villanoviani fin dalle prime fasi erano organizzati per piccole aggregazioni, a differenza di altri».
Diverse tombe rinvenute erano state oggetto di violazioni, in alcuni casi probabilmente già in età romana, ma in grande maggioranza nella seconda metà del Novecento. Pacciarelli ha affermato, infine, che: «A breve verranno intraprese le operazioni di studio e di analisi scientifica dei reperti archeologici e dei resti scheletrici, che potranno fornire una grande mole di informazioni sulla popolazione della Vulci più antica e intorno ai suoi costumi culturali».

Scavo delle sepolture a cremazione villanoviane nella necropoli di Ponte Rotto a Vulci

Intervento conservativo su una delle urne villanoviane rinvenute nella campagna di scavo 2021

Un pozzetto con cremazione e corredo funerario dell'VIII sec. a.C.
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