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Irina Antonova

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Irina Antonova

È morta la zarina dei musei russi

La leggendaria Irina Antonova, direttrice del Pushkin, aveva 98 anni

Alessandro Martini

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Irina Antonova, leggendaria direttrice del Museo Statale di Belle Arti Pushkin di Mosca, e dal 2013 a oggi sua presidente, è scomparsa il 30 novembre all'età di 98 anni. Secondo l’ufficio stampa del museo, la sua morte è dovuta a complicanze legate al Covid-19. Esperta di arte italiana del Rinascimento (per cui le è stato conferito l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana), ha attraverso la storia dell’arte, dei musei e della politica culturale sovietica e russa del secondo Novecento.

Instancabile e pienamente attiva fino all’inizio della pandemia, ancora l’anno scorso aveva partecipato, al Centre Pompidou di Parigi, a un convegno per il 40mo anniversario della mostra «Parigi-Mosca» del 1979 che aveva preceduto la mostra al Pushkin. E in ottobre aveva presenziato alla prima dell’opera teatrale su Mikhail Gorbaciov, con cui si è fatta fotografare al Teatro delle Nazioni di Mosca.

Il suo impegno nel Museo Pushkin (di cui sarebbe stata direttrice per 52 anni: la più longeva tra i grandi direttori a livello globale) ebbe inizio nel 1945: Stalin ancora guidava il Paese e la seconda guerra mondiale si avviava alla sua conclusione. L’Armata Rossa confiscava le opere d’arte dalla Germania nazista, portandone una parte significativa proprio nei depositi di Pushkin fino alla completa restituzione negli anni '90, proprio grazie a Irina Antonova. «Era l’agosto del 1945. Arrivavano a Mosca le opere d’arte confiscate dai musei di Dresda come riparazione dei danni di guerra. C’erano i miei colleghi del museo con alcuni giovani soldati, tra i fortunati tornati salvi dal fronte. Aperta la cassa numero 100, ci abbiamo scoperto la Madonna Sistina di Raffaello. Tutti noi avevamo perso qualcuno che amavamo, io dei parenti nell’assedio di Leningrado. Ma il tempo è sembrato fermarsi per un istante. E proprio quell’istante ha segnato la mia storia personale, ma anche la storia di quel quadro». Così ricordava, e così riportavamo sulla prima pagina del «Giornale dell’Arte» del marzo 2012, in un omaggio in vista del suo 90mo compleanno.

Dal 1961 è stata la direttrice autorevolissima del Museo Pushkin, fondato nel 1912: Irina Antonova sarebbe nata esattamente dieci anni più tardi, nel 1922 a Mosca, in una famiglia di diplomatici. La sua è stata una vita dedicata all’arte, e ricca da riconoscimenti pubblici: Ordine della Bandiera rossa del Lavoro, Ordine della Rivoluzione d’Ottobre, Ordine al Merito della Patria prima classe, Artista onorata della Federazione russa, Commandeur de l’Ordre des Arts et des Lettres e, come detto, commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana.

Nella sua lunga carriera molti sono stati i momenti epocali, che ne hanno fatto una figura di assoluto riferimento, nello specifico ambito degli studi storico artistici così come nel più vasto e problematico campo della museologia e della diplomazia culturale. Cresciuta in Germania, dagli anni successivi alla caduta del Comunismo è stata una strenua oppositrice alle richieste di restituzione delle opere confiscate dall’Armata Rossa. Ciò nonostante, si è ritagliata un ruolo di studioso moderno, progressista, attento alle esigenza del pubblico e «libero» nell’individuare modelli innovativi di gestione museale, tra i limiti dell’apparato statale e aperta a un accorto utilizzo dei fondi concessi dal settore privato. Discusa, e memorabile, è la mostra del 2011 dedicata alla Maison Dior e finanziata da Bernard Arnault.

Altrettanto significativo è il progetto da lei lanciato insieme al grande pianista Sviatoslav Richter per un festival musicale annuale, strettamente legato alla programmazione espositiva del Pushkin. E non esitò a farsi fotografare con Jeremy Irons per l’inaugurazione, nel 2007, di una mostra di arte americana. Nel frattempo, aveva portato la grande arte occidentale nel suo museo, con mostre indimenticate come «Mosca-Parigi. 1900-1930» (1981) e «Mosca-Berlino. 1900-1950» (1996).

Epocale, e assai discusso, è stato il suo appello del 2013, rivolto direttamente a Putin, per il ricongiungimento a Mosca delle collezioni prerivoluzionarie di Sergei Shchukin e Ivan Morozov, nazionalizzate dai bolscevichi e poi frazionate tra l’Ermitage di San Pietroburgo e il suo Pushkin. Ricongiungimento avvenuto poi soltanto nelle sale parigine della Fondation Louis Vuitton.
 

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Alessandro Martini, 03 dicembre 2020 | © Riproduzione riservata

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