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Per la prima volta, dopo decenni, i due grandi portoni decorati da volti grotteschi di Palazzo Citterio, da tempo immemorabile chiusi e polverosi per i cantieri infiniti, si sono spalancati la mattina del 6 dicembre, seppure alla sola stampa, in attesa dell’8 dicembre quando il palazzo ha aperto al pubblico: già sold out, però. Poi, fino a maggio, ha detto il direttore generale Angelo Crespi, si entrerà in una fase di «rodaggio», aprendo dal giovedì alla domenica dalle 14 alle 19. Il biglietto (12 euro, preferibilmente da prenotare online) è al momento separato da quello della Pinacoteca di Brera, di cui è parte. Occorre infatti monitorare con attenzione i flussi, essendo gli spazi di Palazzo Citterio di gran lunga più ridotti rispetto a quelli della Pinacoteca, che nel 2024 ha accolto oltre 500mila persone.
Ma com’è, questo Palazzo Citterio, tanto atteso che «Il Giornale dell'Arte» l’ha appena nominato «Museo dell’anno 2024»? Superbo per le collezioni, mozzafiato, che Emilio e Maria Jesi e Lamberto Vitali hanno donato alla collettività e che sono state esposte con grande rispetto del loro gusto e con l’eleganza che caratterizza il lavoro Mario Cucinella, autore dell’allestimento. Il quale, va detto, ha fatto miracoli, trovandosi fra le mani il «restauro» condotto a suo tempo dalla Soprintendenza e presentato nel 2018 fra lo sgomento di molti.
Le stanze di quella che era Casa Citterio, al piano nobile, e dove oggi sono esposte le collezioni degli Jesi (che abitavano di sopra) e di Lamberto Vitali, hanno trovato nuovi, tenuissimi colori invece del bianco gesso di allora; i vetri delle alte finestre sono stati schermati con una pellicola che abbatte la luminosità e che permette di vedere l’esterno proteggendo al tempo stesso i dipinti; la sfida espositiva della raccolta archeologica Vitali è stata vinta grazie al grande, bellissimo tavolo (pensato per essere ben visibile anche per chi è in sedia a rotelle; stessa ragione per cui i dipinti sono stati appesi un po’ più in basso del consueto) su cui sono posate piccole teche con i reperti. Restano, purtroppo certi soffitti che a suo tempo, per una sorta di «accanimento filologico», furono portati per esempio, nella stessa stanza, a due diversi livelli di (peraltro modestissima) decorazione. Ma su tutto vincono le opere delle due collezioni: magnifiche, tutte, senza eccezioni.
Tralasciamo le didascalie, minuscole e difficilmente leggibili solo perché saranno sostituite a brevissimo, mentre a chi scrive appare un po’ invadente, per le dimensioni del cortile di Palazzo Citterio, il «tempietto» (disegnato da Mario Cucinella Architects anch’esso, e donato dal Salone del Mobile) che ha però il pregio di offrire un luogo di sosta, al riparo e con sedute, in quello che dall’8 dicembre sarà uno spazio pubblico, aperto alla collettività.
Ciò che non si poteva cambiare, purtroppo (e anche questa è un’eredità dell’ultimo intervento), sono le «scale da condominio» (definizione del compianto Philippe Daverio) con finiture in alluminio spazzolato. Contiamo però che a distogliere l’attenzione dei visitatori da questi aspetti architettonici contribuiranno il nuovo ingresso (che quando siamo entrati noi non era ancora completato), con l’intervento di Cucinella per la biglietteria («l’incursione», come la chiama lui), e il ledwall che, grazie all’accordo con Meet, presenta fino al 30 marzo la vertiginosa opera generata con l’IA da Refik Anadol «Renaissance Dreams–Capitolo II, Architettura».
Da non perdere, infine, l’emozionante mostra installazione «La forza di sognare ancora» di Mario Ceroli, ordinata nella Sala Stirling, ipogea, da «vivere» e attraversare per essere goduta appieno, e la splendida, grande mostra dell’ultimo piano, «La Grande Brera. Una comunità di arti e scienze», che rilegge la storia, dal 1300 a oggi, di quell’incredibile palinsesto di storia, cultura e saperi che è Brera, grazie a una quantità sbalorditiva di documenti, molti dei quali anche di grande bellezza.
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