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Stefano Causa
Leggi i suoi articoliCervello balzano, come si diceva anticamente giocando di eufemismi, Vincenzo Gemito (1852-1929, nella foto) era tra i nomi (il solo della scena napoletana) su cui potesse sdoganarsi l’Ottocento; lo «stupido secolo italiano», come pretese Roberto Longhi senza mandarla a dire. I Fratelli Fabbri gli concessero negli anni ’60 un fascicolo dei Maestri della Scultura, e tanto basti.
Oggi l’andazzo è cambiato, con buona pace delle idiosincrasie ottocentesche di Longhi. Pure, tra belle mostre a Parigi e Napoli, gli ultimi anni son corsi con l’alta probabilità di imbattersi in Gemito: esploso come dotato scultore neocaravaggesco nei frangenti dell’Unità, corrottosi sul piano del gusto a Parigi e sopravvissuto chiuso in casa per un ventennio mentre fuori infuriavano il Cubismo, quella sua variante vernacolare che chiamano Futurismo e, tra altre cose leggere e vaganti, la Grande Guerra.
Scomparso nel 1929, Gemito piace, Gemito resiste e, se possibile, il bottino si arricchisce della ristampa di questo racconto critico, tratto di corda teso da un poeta in rime a un altro in figura, uscito a inizio Novecento e da tempo fuori catalogo. Ne invocava la ristampa chi lo reputasse più utile a capire Salvatore di Giacomo, morto nel 1934, che Gemito; quanti, non meno, lo tenessero come spia indiziaria per riavvicinare la scena liberty cultural mondana; e coloro, infine, che sapevano come con un libro del genere, funzionale a carpire i meccanismi della letteratura e della critica d’arte di inizio secolo, paghi uno e compri due (o tre).
Questi ultimi soprattutto hanno motivo di festeggiare: il pregio di una riedizione, preziosa nel merito e nel metodo, non tocca solo la confezione impeccabile, ma anche le quattro mani della curatela. Due studiosi di discipline interferenti dialogano su uno stesso terreno. Se Roberto Nicolucci, neanche trentenne, è storico e critico d’arte tra i più promettenti della sua generazione, Laura Cannavacciuolo si muove con maestria nelle strategie narrative napoletane. Entrambi incrociano competenze e bibliografie come dovrebbe accadere e, di fatto, non accade mai.
Si tratta nientemeno che di rifuggire dalle sabbie mobili dello specialismo. Che la posta in gioco sia dunque più alta che il ripescaggio di un gioiellino di inizio secolo lo conferma la coda del libro dove brillano i fuochi d’artificio di vecchie pagine su Di Giacomo critico, e su Gemito stesso, di uno scrittore storico d’arte, appassionato e impuro, come Raffaello Causa.
Gemito. La vita. L’opera,
di Salvatore di Giacomo, a cura di Roberto Nicolucci e Laura Cannavacciuolo, postfazione di Raffaello Causa, 160 pp., Nicolucci, Napoli 2023, € 18

Vincenzo Gemito e il busto di Anna. Foto DR

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