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The Winter Egg and Important Works by Fabergé from a Princely Collection

Courtesy of Christie’s

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The Winter Egg and Important Works by Fabergé from a Princely Collection

Courtesy of Christie’s

Gli appuntamenti in asta da non perdere a dicembre

Redattori, corrispondenti, collaboratori e lettori di «Il Giornale dell’Arte» sono i nostri esploratori, gli investigatori di occasioni, eccezioni e stranezze che ogni mese il mercato internazionale dell’arte continua a offrirci

L’uovo d’inverno che vale oro

C’è un «Winter Egg» di Fabergé tra i top lot di dicembre. Fu commissionato dall’imperatore Nicola II come dono pasquale per la madre, la vedova Maria Feodorovna, nel 1913 mentre si celebrava il 300mo anniversario della dinastia Romanov. Un esemplare rarissimo, «ça va sans dire»: delle 50 «Uova di Pasqua» originali, solo 43 sono giunte fino al presente, e quella in catalogo da Christie’s è una delle sette ancora in mani private. Quando passò all’asta, nel 1994 e nel 2002, fu proprio questo lotto a fissare un nuovo record per qualsiasi manufatto firmato Fabergé. La stima oggi? Su richiesta. Ma il valore supera i 20 milioni di sterline. Verdetto finale il 2 dicembre, a Londra, con The Winter Egg and Important Works by Fabergé from a Princely Collection.
[Erica Roccella]

Frans Hals, «Ritratto di Verdonck». Courtesy of Sotheby’s

Una bella storia speculativa: Frans Hals da Sotheby’s

Questa è una storia che farà tutti contenti: quella di un dipinto passato come anonimo a 2mila euro, venduto a oltre 60mila e ora riapparso all’Evening Sale di Sotheby’s Londra (3 dicembre) alla stima di 800mila- 1,2 milioni: «Ritratto di Verdonck» in vesti di Sansone che brandisce una mascella di asino di Frans Hals, riscoperto l’anno scorso a Parigi e ora di nuovo in vendita, fresco di restauro. Neanche il tempo di lasciare asciugare la vernice e i nuovi proprietari hanno deciso di passare all’incasso. Il dipinto non è un capolavoro ma la storia di Verdonck, lo strambo personaggio che indossa gli abiti di Sansone, attirerà le attenzioni di studiosi, istituzioni museali, forse anche di qualche «mattoide» che si riconoscerà in lui.
[Simone Facchinetti]

Gerhard Richter, «Grau», 1970. Courtesy of Lempertz

Richter in scala di grigi... e di attese

Il 4 dicembre da Lempertz a Colonia, durante l’asta 50 Lots-My choice, che celebra il 50mo anno da battitore d’asta di Henrik Hanstein, viene proposto l’olio su tela «Grau» (1970) di Gerhard Richter (118x98 cm), che appartiene alla serie «Graue Bilder» (1968-76), fondamentale nella produzione del pittore tedesco. Quest’ultima rappresenta una svolta nell’evoluzione dell’artista dopo gli anni Sessanta in cui aveva lavorato su immagini fotografiche in bianco e nero. I lavori nascono da un processo sia distruttivo che creativo: Richter iniziò a ridipingere opere non riuscite sperimentando mescolanze di nero, bianco, marrone e blu per ottenere molteplici sfumature di grigio. Difatti ognuna di queste composizioni si distingue per le sue specifiche qualità superficiali e per le variazioni tonali. La stima è di 180-200mila euro. Il 15 ottobre scorso da Christie’s a Londra un dipinto di questa serie, ma di dimensioni doppie (250x195,5 cm), stimato 600-800mila sterline, è rimasto invenduto. Forse il grigio non è mai stato così eloquente e, come il mercato insegna, imprevedibile. Chissà se stavolta la scala infinita dei suoi toni saprà conquistare la mano alzata giusta.
[Monica Trigona]

Paul Gauguin, «Danse bretonne», 1889. Courtesy of Artcurial

La Bretagna bucolica e primitiva di Gauguin

Una danza dal sapore antico, figure racchiuse in forme pulite e sintetiche, una tavolozza dalle cromie squillanti e dalle campiture piatte che ricorda i fondi oro. La «Danse bretonne» è un piccolo e prezioso pannello realizzato da Paul Gauguin nel 1889, frutto di un periodo breve ma intenso trascorso dall’artista lontano da Parigi, in Bretagna. Otto mesi di creatività e febbrile produzione in cui il distacco dalla lettura impressionista della realtà avvenne a favore di una visione simbolica e antinaturalistica. L’opera, che viene battuta da Artcurial a Parigi il 9 dicembre con una valutazione di 500-700mila euro, ha una storia singolare alle spalle. Dipinta da Gauguin insieme con gli amici Filiger e Meyer de Haan, fece parte del decoro che i tre realizzarono per la sala da pranzo della pensione gestita da Marie Henry a Le Pouldu, nei pressi di Pont-Aven. Fu poi pubblicata dal 1919, ma negli ultimi quarant’anni e oltre è rimasta nell’ombra, non più esposta pubblicamente e conservata in collezione privata. La paternità di Gauguin venne messa in discussione negli anni ’80 del Novecento, poi ulteriori ricerche dal 2020 ne hanno confermato l’attribuzione, fino all’inclusione nel catalogo ragionato dell’artista.
[Elena Correggia]

François Boucher, «Natura morta con pavoncella e combattente variato», 1745. Courtesy of Pescheteau-Badin

Il Boucher che non c’era

«Natura morta con pavoncella e combattente variato», 1745, olio su tela, 45x33,7 cm, opera sconosciuta di François Boucher (1703-70) ritrovata per caso in una successione parigina, è la sua unica natura morta conosciuta fino ad oggi. Rimasta nella stessa famiglia da fine Settecento come composizione autografa di Boucher, era totalmente ignota ai «catalogues raisonnés» del pittore e al mercato antiquario o delle aste perché passata di mano in mano solo per eredità dall’epoca della realizzazione. Stimata tra 100mila e 150mila euro, è all’asta il 12 dicembre all’Hôtel Drouot (Pescheteau-Badin). Oltre alla firma chiaramente distinguibile, la complessa selezione dei colori, la loro declinazione e la rarità dei pigmenti, la morbidezza tipica dei cromatismi, la riproduzione precisa fra pennellata densa e scioltezza di esecuzione indicano la mano di Boucher in un genere a lui fino ad oggi assai inconsueto e portano luce inedita sulla sua disciplina pittorica ridefinendone gli ambiti. Si conferma così quanto riportato dai biografi della sua consuetudine alle nature morte: non solo il suo allievo Johann Christian von Mannlich (1741-1822) racconta come vi si esercitasse quotidianamente, ma è pure nota l’ispirazione che l’artista francese sempre trasse da Jean-Baptiste Oudry (1686-1755), caposcuola della natura morta francese. Grazie al confronto con quest’opera firmata, la critica potrà presto rintracciare e identificare altre opere analoghe, seppure non firmate da Boucher.
[Giovanni Pellinghelli del Monticello]

Autori vari, 02 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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