Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliGiovanni Francesco Barbieri nasce a Cento (Fe) nel 1591, e fin dalla tenera età è soprannominato il Guercino, per via di un problema all’occhio destro. Muore a Bologna nel 1666. A bottega dall’età di otto anni impara il disegno e la pittura, nel 1642 apre a Bologna una sua casa studio, tra le più attive dell’epoca, i suoi servigi sono richiesti da Venezia a Roma, dove su commissione di nobili, principi e cardinali realizza ritratti, affreschi e pale d’altare, con un preciso tariffario di cui è rimasta traccia in un dettagliatissimo Libro dei Conti.
«Gran disegnatore e felicissimo coloritore», come lo definì Ludovico Carracci, fu ed è tra i pittori più ammirati del Seicento, in Italia e all’estero; al suo tempo richiesto dai reali di Francia e in Inghilterra, è oggi nei più importanti musei del mondo e tra le sue rare opere in asta, un olio raffigurante «Re Davide» è stato venduto da Christie’s nel 2010 a 7,86 milioni di dollari.
La sua impronta naturalistico-classicista connotata da una moderna e intensa forza espressiva aprì un varco sulla dimensione umana, sulla profondità di sentimenti umili e sinceri. A esplorare la produzione del pittore e la fitta trama di relazioni che lo circonda è la Pinacoteca di Bologna con la mostra «Guercino nello studio», visibile fino all’11 febbraio, curata da Barbara Ghelfi e Raffaella Morselli, realizzata in occasione della riapertura lo scorso novembre della Pinacoteca di Cento (intitolata appunto a Guercino) e nell’ambito degli «Itinerari Guerciniani» regionali (bolognawelcome.com). Venticinque le opere esposte.
«La mostra, spiega la direttrice della Pinacoteca di Bologna, Maria Luisa Pacelli, è anche l’occasione e lo strumento per proseguire il lavoro di studio e approfondimento del patrimonio della Pinacoteca finalizzato a un aggiornamento complessivo dei suoi percorsi espositivi permanenti, in questo caso la parte riguardante la grandiosa stagione del Seicento felsineo, in particolare le sale dedicate al Barocco, il cui allestimento verrà completamente rinnovato al termine dell’iniziativa».
Suddivisa in due grandi sezioni, l’esposizione parte con un dialogo tra le opere della collezione e importanti prestiti, analizzando metodo di lavoro e tecniche esecutive. La monumentale e solenne pala «Vestizione di san Guglielmo» del 1620, per esempio, è accompagnata dai suoi numerosi disegni preparatori (visibili nel tavolo multimediale) in cui Guercino sperimentava varie pose e soluzioni compositive, ed è qui ricongiunta con la cimasa raffigurante il «Padre eterno con puttino» (dai Musei di Strada Nuova di Genova), a testimonianza della complessità dell’apparato decorativo che accompagnava queste «macchine scenografiche».
Tra i lavori esposti anche il «San Bruno in adorazione della Madonna in gloria» del 1647, realizzato probabilmente in collaborazione con il fratello Paolo Antonio, specializzato nelle nature morte come si evince anche dalla collaborazione al dipinto «Ortolana». La fiorente attività di Barbieri aveva alle spalle una vera e propria gestione amministrativa che teneva conto di ogni singolo dettaglio, variazioni di prezzi, spese, committenti, tipologie di opere prodotte, copie, materiali utilizzati, ritocchi, risarcimenti: una miniera di informazioni relative al periodo 1629-66, pervenuta sino a noi grazie alla trascrizione del suo Libro dei Conti redatto fino al 1649 dal fratello Paolo Antonio e dopo la sua morte dal Guercino stesso.
Nella seconda sezione, proprio grazie all’ausilio del Libro, la mostra fa luce su un aspetto meno noto dell’artista, il suo ruolo di imprenditore, e sulle dinamiche del mercato dell’arte a lui contemporaneo. Tra i vari aspetti che emergono, le specializzazioni dei collaboratori all’interno della bottega, tra addetti a pale d’altare, quadri di storia, nature morte, ritratti e paesaggi, e la diffusione delle copie di opere del maestro, tra le più gettonate «Lot e le figlie» (1650-60) e «Negazione di san Pietro» (1623-26).
A fare luce sulle tecniche esecutive hanno anche contribuito recenti indagini scientifiche promosse dal Laboratorio Diagnostico dell’Università di Bologna. Sono stati per esempio individuati la ricorrenza del saldo impianto del disegno sottostante ciascun dipinto e di pochi ripensamenti, riguardanti in particolare il posizionamento delle mani e dei piedi o l’aggiustamento delle linee architettoniche. Anche nella scelta dei pigmenti sono emerse alcune costanti, in particolare l’uso di colori «poveri», bruni e ocra, alternati al lussuoso blu oltremare (sempre pagato a parte).
«L’osservazione delle immagini in alta risoluzione delle opere della Pinacoteca di Bologna consente di apprezzare, già nel visibile, la straordinaria freschezza del tocco guerciniano, la resa tenera e vellutata degli incarnati, il realismo e la delicatezza di certi profili infantili abbreviati (come quello della bambina che aiuta Irene nel Sebastiano soccorso dopo il martirio e quello del piccolo Gesù che compare nella Madonna del Passero), ma anche l’intelligenza raffinata del chiaroscuro», spiega la curatrice Barbara Ghelfi.
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