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Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoli«Tre settimane di eventi, con sedici performance, dodici talk, tre workshop, la partecipazione di artisti internazionali come Basel Zaraa, Branko Miliskovic, Regina José Galindo, Daniela Ortiz, Nezaket Ekici, Ant Hampton ed Elena Antoniu, artisti mid career come Elena Bellantoni, Simone Bergantini, Luana Perilli, Matilde De Feo, Fabio Sandri, l’opera teatrale di Stivalaccio, più volte candidati al premio Ubu. E grande spazio agli emergenti con una speciale sezione dedicata ai giovanissimi della Generazione zeta: Cult of magic, Sorelle di damiano, Mari, Leonardo Panizza, Giulio Boccardi, a cui si sono aggiunte, per un evento off, altre tre giovani studentesse dell’Accademia: Eva Fruci, Nicoletta Buonvicino, Laura Violetta Dima». Questa la sintesi del Performing Festival di Catanzaro secondo le parole di Virgilio Piccari, direttore dell’Accademia di Catanzaro, andato in scena per le strade della città tra il 9 e il 31 maggio scorsi, ma le cui attività proseguiranno nei prossimi mesi con le azioni delle altre Istituzioni, in primis a settembre il campus internazionale organizzato dall’Accademia di Belle Arti di Napoli, che porterà 30 studenti da tutto il mondo a Napoli.
Assolutamente positivo secondo Piccari quindi il bilancio della manifestazione che ha visto l’Accademia di Catanzaro capofila di un progetto collettivo e transnazionale, con un ampio partenariato di dodici istituzioni italiane tra Accademie (quelle di Reggio Calabria, Napoli e Sassari), Conservatori (di Napoli, Taranto, Terni, Perugia e Siena), Università di Brescia e Scuola Superiore Meridionale, Istituti di alta formazione artistica (Afam), Isia di Faenza, e con il sostegno di partner culturali e accademici internazionali.
«L’impegno sociale ha caratterizzato il festival, spiega Simona Caramia, referente scientifico del progetto, dove i temi affrontati sono andati dalla sensibilità sociale all’impegno politico, dalla migrazione con l’importanza dell’accoglienza al rispetto per il corpo della donna. E questo pensando non solo al femminicidio, ma riferendosi in generale alle libertà del corpo e quelle personali, temi quanto mai importanti in questo momento storico». Importante presenza quella dell’ecologia, con la riflessione sull’ambiente, la difesa e la distruzione dell’ecosistema, il tema della cura per l’altro e dell’etica del non umano.
«Un bilancio positivo, conferma anche Caramia: le tre settimane ci hanno permesso di spaziare nelle arti performative, con artisti di provenienze culturali e generazioni diverse, anche se per la prossima edizione stiamo pensando di compattare il calendario di eventi in un arco temporale contenuto in due settimane». Perché, chiusa la manifestazione da pochissimi giorni, si sta già pensando al calendario del 2026.
«Il progetto finanziato con i fondi del Pnrr, aggiunge la responsabile scientifica del progetto, ha una durata biennale, e stiamo quindi già lavorando alla prossima edizione, forti della grande partecipazione che il festival ha avuto, soprattutto dalla comunità accademica, ma anche da parte della città. Ci sarà lo spazio anche per raccontare l’esito delle ricerche presentate quest’anno, e la ricerca resterà al centro anche della prossima edizione, dando spazio a nuovi protagonisti e invitando altri artisti e critici che raccontino che cosa è l’arte performativa e quali sono le pratiche più attuali. Quest’anno per esempio Miliskovic, a fine del suo talk, ha proposto un esercizio corporeo: è stata un’esperienza molto importante per l’educazione al corpo che manca agli studenti della nostra Accademia, e in realtà manca in tutto il comparto Afam dove non si prevedono percorsi di studio specifici, ma un unico corso all’interno del piano di studi».
Insomma il Performing Festival, secondo le intenzioni degli organizzatori, è andato a colmare un vuoto: «Ragionare sull’arte performativa, riflette il direttore Piccari, nasce dall’idea di rispettare la vocazione delle varie istituzioni coinvolte, ma anche da una vacatio formativa, dove la performance è la grande assente, nonostante la sua importanza come linguaggio della contemporaneità».
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