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Marco e Fiorella Datrino

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Marco e Fiorella Datrino

Il castello incantato di Marco Datrino

Gian Enzo Sperone ricorda l'antiquario di Torre Canavese

Gian Enzo Sperone

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Sono stato per anni al castello di Torre Canavese dove Marco Datrino viveva insieme alla famiglia. Ogni visita aveva dei passaggi rituali diversi, da lui improvvisati ogni volta, per sorprendere il visitatore e irretirlo nelle maglie dell’arte. Decine di dipinti, mobili e oggetti preziosi che erano la sua vita appassionata di antiquario: sì, perché di questo si trattava, infatti era l’ultimo dei mercanti d’antico che spaziava in tutti gli aspetti della bellezza antiquaria. Poi il rito proseguiva ai Tre Re, tra delizie di classica cucina piemontese, come a ribadire il primato della sua sensibilità sabauda.

Da ragazzo era vissuto al seguito del padre, antiquario d’assalto che comprava castelli e proprietà piene di arredi, senza paura, con occhio e tecniche da sensale. Da lì gli veniva l’audacia di chi sa valutare con un colpo d’occhio l’affare della vita e pagare in contanti. Si era raffinato osservando da giovane Pierino Accorsi, il grande antiquario torinese alla cui corte passavano tutti, dal principe Umberto di Savoia all’avvocato Agnelli, a Monsieur Kügel, antiquario parigino che sarebbe diventato uno dei massimi in Europa.

Ma allora era Pierino che dava le carte, e che carte. Il giovane Marco vedeva e imparava. Stava nascendo un antiquario vero, completo, audace e capace di sparare assegni a molti zeri. Parlava di miliardi come di milioni: la cosa sorprendente è che dimostrava sempre con i fatti di non essere un «vantone», ma il vero portatore di una febbre immensa che hanno solo i grandi  visionari. La febbre è un dono di Dio. I soldi no, bisogna trovarli. Ogni tanto esagerava e doveva correre a Milano alla corte di Casimiro Porro, padrone della Finarte, per fare un pieno di ossigeno e di fiducia.

Era poi riuscito, senza parlare altre lingue oltre il canavese-italiano, a coinvolgere il Cremlino (massì, proprio quello) per una mostra memorabile di tesori russi nel suo castello alla presenza di Raissa Gorbaciova. Fu la sua apoteosi e un trauma per Torre Canavese. Roba da non credersi!

In camera da letto teneva un meraviglioso Appiani e la deposizione di Taddeo Zuccari.In galleria mille delizie, tra cui ricordo la poltrona dorata della regina Maria Antonietta, un tavolo di Pelagio Palagi (capolavoro), la culla del re Carlo Alberto e un ritratto a grandezza naturale di Napoleone incoronato imperatore, dipinto da François Gérard. Ma c’erano anche fondi oro, ritratti cinquecenteschi e quant’altro. Il primo Bonzanigo  della mia vita l’ho visto da lui: un mobile strepitoso.

Gli invidiosi dicevano che le sue erano «attribuzioni» generose: la verità era che aveva occhio e la dea fortuna, che seppur bendata ci vede benissimo, lo proteggeva. Rimpiango di non aver comprato abbastanza nella sua galleria, ma si sa, le opere di qualità costicchiano e io allora, facevo la spola da New York e le mie tasche (bucate) dovevano servire a nutrire gli appetiti degli artisti d’avanguardia (?!). Mia dannazione e mia fortuna poi. In realtà i suoi prezzi, ancorché impegnativi, erano sempre congrui.

Ora basta: questo più di un ricordo è diventato un panegirico e poi anche Marco aveva i suoi difetti. Il fatto è che un mercante d’antico, così competente e versatile non lo vedremo più per un pezzo dalle nostre parti. La gioventù odierna colleziona altro.

Marco e Fiorella Datrino

Gian Enzo Sperone, 18 marzo 2021 | © Riproduzione riservata

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