Viviana Bucarelli
Leggi i suoi articoliCi sono tutti gli elementi di una detective story e di un intrigo perfetto per la trama di un film: le opere di uno degli artisti più amati al mondo, Edward Hopper, una delle più grandi frodi della storia dell’arte americana, un crimine, documenti spariti, scaltri truffatori e l’instancabile battaglia per la ricerca della verità di Gail Levin, studiosa di fama, autrice del catalogo ragionato di Edward Hopper e «distinguished professor» della City University di New York, che racconta a «Il Giornale dell’Arte» questa storia.
Alcuni dei 5mila oggetti, tra opere e documenti, finora irreperibili, verranno esposti, per la prima volta, dal 19 ottobre al 5 marzo 2023 nella mostra «Edward Hopper’s New York» al Whitney Museum che ha annunciato la presenza della «recente acquisizione del Sanborn Hopper Archive». Che cosa la preoccupa in tutto questo?
È stato omesso il fatto che queste opere e documenti di Hopper sono stati irreperibili per cinquant'anni e provengono da Arthayer R. Sanborn, prete battista che non ebbe niente a che fare con Hopper o la sua famiglia ma che ha tenuto nascosti questi tesori mentre metteva sul mercato un centinaio di opere di Hopper che aveva rubato. Dopo la morte di Sanborn nel 2007, la sua famiglia ha continuato a nasconderli e ha continuato a guadagnare dalla vendita delle opere, nonostante la vedova di Hopper avesse lasciato tutto al Whitney Museum.
Come ha fatto a trafugarli?
Ha in realtà raccontato tutto in una conferenza pubblica che si può vedere sul mio sito. In qualità di pastore della Chiesa Battista di Nyack, che Marion, la sorella di Hopper, frequentava, Sanborn «dava uno sguardo» a Marion, ottenne le chiavi della casa e fece così razzia del contenuto della mansarda.
Mentre Lei lavorava al catalogo ragionato si è accorta che mancavano dei documenti.
Sono stata costretta a far ricerca per il Whitney senza aver accesso alla maggior parte delle carte e documenti di Hopper. Sanborn venne da me per mostrarmi la sua Collezione Hopper che aveva bisogno di far autenticare. Arrivò con una valigia piena di opere giovanili e di alcune lettere che l’artista aveva scritto alla famiglia da Parigi. Era tutto autentico. Iniziò a raccontarmi una delle numerose versioni del come ne era venuto in possesso. Lui e sua moglie la cambiavano ogni volta. Ma Sanborn non è tra i destinatari della lista precisissima di donazioni e vendite che Hopper e sua moglie tenevano nei registri.
Cosa successe dopo?
Scoprii che le opere giovanili di Hopper erano cominciate ad apparire sul mercato dopo la morte della vedova dell’artista, meno d’un anno dopo la morte del marito. Il Whitney preferì guardare dall’altra parte, permettendo che quel patrimonio venisse sottratto al pubblico. Dopo meticolosa ricerca ne conclusi che questa invasione del mercato d’opere giovanili di Hopper era il risultato del furto di Sanborn dalla mansarda della casa di famiglia di Hopper.
Che cosa vuole che si sappia a questo punto?
Perché il Whitney assunse nel 1976 una giovane coscienziosa storica dell’arte per scrivere il catalogo ragionato che deve tracciare la provenienza delle opere per stabilirne l’autenticità e perché quando emerse un colossale furto dal patrimonio cercò di insabbiare tutto? Sanborn non ereditò nulla dagli Hopper, ma il museo finse di credere che lui fosse in possesso soltanto di opere giovanili, mentre intanto opere della maturità dell’artista venivano vendute per cifre astronomiche, come «South of Washington Square» andato all’asta nel 2015 per 437 mila dollari.
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