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Sabatino Moscati con Gae Aulenti, Gianni Agnelli e Alain Elkann all’inaugurazione della mostra sui Fenici a Palazzo Grassi a Venezia nel 1988. Foto cortesia Paola Moscati

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Sabatino Moscati con Gae Aulenti, Gianni Agnelli e Alain Elkann all’inaugurazione della mostra sui Fenici a Palazzo Grassi a Venezia nel 1988. Foto cortesia Paola Moscati

Il mestiere dell’archeologo | Sabatino Moscati

Con Giuseppe M. Della Fina ripercorriamo traguardi e insuccessi di alcuni archeologi che dalla metà dell’Ottocento ad oggi hanno lasciato un diario, un’autobiografia o semplici appunti di ricordi, contribuendo allo sviluppo dell’archeologia come scienza storica

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Giuseppe M. Della Fina

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Un ritratto di Sabatino Moscati (Roma, 1922-97) è semplice e, contemporaneamente, complesso da scrivere per me: l’ho conosciuto, infatti, di persona. Ricordo ancora oggi con vivezza le riunioni di redazione dell’Enciclopedia Archeologica, dove apprendevo un metodo di lavoro. Erano gli anni ’90 e Moscati dirigeva l’opera, voluta dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, e io vi lavoravo come redattore.

Era un archeologo molto noto: l’uomo che aveva inventato i Fenici, mentre Giovanni Agnelli li aveva prodotti, come si diceva scherzosamente a seguito del successo straordinario della mostra allestita a Venezia negli spazi di Palazzo Grassi (marzo-novembre 1988), allora gestito dalla famiglia Agnelli. Un’esposizione che arrivò a superare i 750mila visitatori portando una grande attenzione sulla civiltà di uno dei popoli più dinamici del Mediterraneo. Essa venne seguita da una dedicata ai Celti, altrettanto fortunata.

In quegli anni Moscati aveva raggiunto i vertici dell’Accademia Nazionale dei Lincei divenendone prima vicepresidente (1991) e poi presidente (1994). Svolgeva un’intensa attività giornalistica collaborando con il «Corriere della Sera» e poi con «La Stampa», come pure con il settimanale «L’Espresso». In precedenza, aveva scritto su «Il Messaggero», iniziando con il racconto della scoperta di Ramat Rahel, a pochi chilometri da Gerusalemme. Collaborava inoltre con trasmissioni radiofoniche e televisive. Proprio in televisione, aveva curato la rubrica settimanale «Le pietre raccontano» all’interno della trasmissione «Almanacco del giorno dopo» in onda su Rai 1 come traino al telegiornale delle 20. Un’altra epoca, verrebbe da scrivere.

Nel 1985 fondava la rivista «Archeo», dal sottotitolo programmatico, «Attualità del passato». Il suo maestro, il padre gesuita Alfred Pohl, incontrato in anni lontani e difficili nel Pontificio Istituto Biblico, gli aveva insegnato che divulgare per un archeologo era un apostolato e non lo aveva dimenticato.

Il suo impegno si era concentrato contemporaneamente in ambito universitario: dopo la laurea in arabistica discussa con Francesco Gabrieli (1945), era divenuto professore incaricato in Epigrafia e antichità semitiche (1946-51) a Roma presso l’Università «La Sapienza». Dopo ulteriori esperienze universitarie a Napoli e Firenze, vi era tornato (1954) come professore di Ebraico e lingue semitiche comparate, una cattedra che tenne sino al 1982, quando si trasferì presso l’Università di Tor Vergata, che era stata appena istituita. Fu impegnato anche all’interno del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dove ebbe un ruolo decisivo nell’istituzione prima di un Centro (1969) e poi di un Istituto per la civiltà fenicio-punica (1983).

Si era formata, nel frattempo, la sua scuola che ha rinnovato l’antichistica italiana spostando l’attenzione dal mondo greco-romano alle altre civiltà che si erano affermate attorno ad esso con ricorrenti occasioni commerciali, culturali e politiche d’incontro e scontro. Al centro, sempre, la storia del Mediterraneo e della prima Europa. Da qui l’attenzione per i Fenici e i Cartaginesi, ma anche per i popoli dell’Italia prima della romanizzazione e i Celti. Un mutamento di prospettiva ripreso con una visione ancora più ampia nell’esperienza dell’Enciclopedia Archeologica, che non riuscì a portare a termine, dove il Mediterraneo interagiva con altre aree del mondo distanti geograficamente e culturalmente.

Si può solo accennare alle missioni archeologiche che promosse e guidò in Siria, Israele, Malta, Sicilia, Tunisia e Sardegna, che hanno portato a scoperte rilevanti. Il riassunto migliore del suo impegno si trova nel prologo del libro «La via del sole» (1981): «I miei itinerari si sono svolti in più fasi nei Paesi dell’area mediterranea, seguendo da Oriente a Occidente la via del sole, che è stata quella del mio destino di studioso e, ciò che più conta, è quella del corso stesso della civiltà». Sabatino Moscati era nato a Roma nel 1922 ed è scomparso nel 1997.

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Giuseppe M. Della Fina, 02 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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