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Giuseppe M. Della Fina
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Tra le righe delle pagine del romanzo Una moglie di Lidia Storoni Mazzolani, pubblicato in prima edizione nel 1982 per i tipi di Sellerio, si scopre un’iscrizione latina databile negli ultimi anni del I secolo a.C. Ecco la descrizione: è incisa su una lastra di marmo e risulta alta due metri e ventitré centimetri. Era andata in frantumi ed è stata assemblata idealmente di nuovo, dopo un attento e lungo lavoro di studio portato avanti da epigrafisti e storici del mondo romano, a partire da Theodor Mommsen (1817-1903). Il testo risulta incompleto e privo d’informazioni significative: non si sono conservati il nome della donna, ricordata nell’iscrizione, e quello dell’uomo, il marito, che la dettò ricalcando con ogni probabilità l’elogio funebre da lui pronunciato in occasione del funerale.
Nella donna si è pensato di riconoscere una certa Turia menzionata da Valerio Massimo (Fatti e detti memorabili, VI, 7, 2) e protagonista di vicende analoghe, ma l’ipotesi non è accettata dai più. Dello stesso avviso è l’autrice del romanzo dove abbiamo rinvenuto l’epigrafe registrata nella raccolta ufficiale delle iscrizioni latine vale a dire il Corpus Inscriptionum Latinarum, come pure in Inscriptiones Latinae Selectae. Ė nota, anche se erroneamente, come Laudatio Turiae.
La lunga iscrizione narra l’amore tra una donna e un uomo in decenni complessi e violenti della storia di Roma segnati dai mutamenti che portarono al superamento degli assetti istituzionali repubblicani e all’affermazione di Ottaviano Augusto. Quelle vicende s’intersecano con la loro relazione che seppe resistere ad esse e anzi trovare, nel loro superamento, la forza per un’unione più sentita e duratura. Il testo restituisce le tappe della vita trascorsa insieme, ma soprattutto la forza della ragazza: non uso il termine a sproposito dato che il fidanzamento ufficiale dovrebbe essere avvenuto quando aveva una quindicina di anni, come accadeva nell’antica Roma.
Lei, insieme alla sorella, dovette affrontare l’assassinio dei genitori avvenuto in una villa isolata forse per mano di schiavi, identificarli e farli perseguire. Riparare poi nella casa della futura suocera e resistere alle pressioni di persone vicine, che le suggerivano di rifiutare il testamento paterno allo scopo di ricevere una parte maggiore del patrimonio di famiglia, come pure di rompere il fidanzamento dato che l’uomo, più grande di lei di qualche anno, aveva seguito Pompeo in Oriente ed era stato proscritto. Per riuscire a tornare in Italia, dopo la sconfitta di Farsalo (48 a.C.), dovette sollecitare e ottenere un atto di clemenza da parte di Giulio Cesare. Pochi anni dopo, quando sicuramente erano sposati già, dovettero affrontare insieme una prova ulteriore: siamo negli anni tra il 44 e il 41 a.C. e quindi tra la morte di Giulio Cesare e il ritorno in Italia di Ottaviano. Lo sposo venne proscritto di nuovo dato che si era schierato con Antonio; in questa occasione, si ricorda nell’iscrizione, lei lo aiutò mentre era in clandestinità: «ti togliesti di dosso tutto l’oro, tutte le perle che portavi e, mentre ero lontano da casa, mi provvedesti largamente di schiavi, di denaro, di provviste». Stavolta, inoltre, fu lei a chiedere la riabilitazione per il marito ai nuovi potenti: si fece ricevere da Marco Emilio Lepido, informandolo che Ottaviano aveva espresso un parere favorevole, ma fu trattata con durezza: «udisti persino parole ingiuriose, subisti ferite crudeli. Le mostrasti a tutti, affinché si sapesse chi era l’autore dei miei pericoli».
Nell’iscrizione vi è anche la memoria di una vicenda intima, che riguardò soltanto loro due: il matrimonio era stato felice, ma non avevano avuto figli e stavano divenendo anziani. Lei propose, allora, al marito di divorziare, di allontanarsi da lui per consentirgli di averli con un’altra donna: figli che avrebbe considerato anche come suoi. L’uomo, sempre nell’iscrizione, ricorda di avere rifiutato la proposta per non mancare al suo onore, ma soprattutto per non fare l’infelicità di entrambi. L’ultima riga recita: «I Mani ti concedano pace e in pace ti conservino».

La copertina del volume
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Con l’etruscologo Giuseppe M. Della Fina scaviamo nelle pagine di un romanzo o di un racconto e tra i versi di una poesia alla ricerca di oggetti di un passato lontano (per comprenderne il significato e il valore che perdurano nel tempo)
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