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Una fiaba? Un racconto fantastico? Un’avventura in un mondo in cui tutto può accadere, raggiungibile (alla Lewis Carroll) solo attraversando lo specchio?
La pièce teatrale «Hermèstories» voluta da Pierre-Alexis Dumas, discendente del fondatore Thierry Hermès e direttore artistico di Hermès, e scritta dalla regista Pauline Bayle, in cui si racconta la storia passata (e futura) della maison Hermès (in scena al Teatro Franco Parenti di Milano dall’11 al 21 settembre), è ognuna di queste cose e tutto questo insieme. Abbandonarsi alle suggestioni delle parole dei suoi personaggi, mettendo in pausa la razionalità e affidandosi alle sole emozioni, permette di entrare in una sorta di realtà parallela, lieve e giocosa, fantastica e fuggevole, guidati dai suoi singolari protagonisti: lo scudiero Lad (per Hermès, selleria di lusso fondata nel 1837 da Thierry Hermès, il cui simbolo è il calesse, lo scudiero è una figura identitaria), interpretato da Hélène Chevallier; la Narratrice (Jenna Thiam), una signora molto fantasiosa e un po’ autoritaria che rampogna, blandisce e sbalordisce lo stupefatto Lad, e il Rumorista (Xavier Drouault), che dal suo abbaino affacciato sulla scena simula con oggetti usuali della Maison il cinguettio degli uccelli, il suono del vento e del mare, il rumore degli zoccoli dei cavalli e delle ruote dei calessi, fino a quello del misterioso veicolo che porterà Lad su un pianeta non identificato, dove le creazioni di Hermès troveranno casa nel futuro, rinnovandosi e reinventandosi come hanno fatto nei 180 anni della storia della Maison. Il tutto, in una scenografia intessuta di citazioni pittoriche, da de Chirico (il grande guanto di gomma appeso alla parete, il cavallo in riva al mare) ai «Déjeuner sur l’herbe» degli impressionisti.
La storia inizia in un tardo pomeriggio invernale, quando Lad, conclusi i suo compiti con i cavalli, si concede una pigra passeggiata in una Parigi ottocentesca ovattata dalla neve. E lì, in una sorta di sogno, viene condotto dalla Narratrice dietro alle quinte dell’atelier di Hermès, proprio mentre stanno prendendo forma la celebre cintura e il bracciale «Collier de chien» (di cuoio borchiato come i collari di certi molossi), per avviarsi poi in un deserto nordafricano dove, sulla sabbia, prende forma un’onirica vetrina di Hermès e immergersi in seguito in una sarabanda di colori (le innumerevoli sfumature della tavolozza dei foulard, i «carré» della Maison) e poi ancora improvvisare un allegro picnic musicale sul «Carré sur l’herbe», tra frutta, croccanti baguette e delizie varie, e sperimentare la sella che permetteva alle dame dell’800 di cavalcare «all’amazzone» (cioè con entrambe le gambe dallo stesso lato del cavallo: come avrebbero potuto fare altrimenti, con le loro vesti lunghe e infiocchettate e non potendo scoprire nemmeno le caviglie, secondo il bon ton di allora?) ma anche «scoprire», come per caso, la celeberrima borsa «Birkin», capace di contenere l’intero guardaroba della Narratrice. Fino a portare Lad, con il suo buffo casco da palombaro, su in alto, tra le stelle.
Ogni scena prende spunto da uno degli iconici oggetti di Hermès, che si ritrovano poi esposti nella mostra con cui la pièce si chiude: una sorta di caotico e affascinante magazzino teatrale dove una borsa «Kelly» oversize si confronta con le raffinate porcellane della Maison, una casacca da fantino dialoga con una sella che pare una scultura, la mitica coperta da cavallo a fasce colorate si confronta con preziosi guanti da guida di pelle morbidissima.
Un magazzino delle meraviglie, cui dedicare tanto tempo e attenzione per cogliere da vicino la maestria dei tanti e diversi artefici che, sotto la guida delle successive generazioni della famiglia, hanno fatto e continuano a fare la fortuna di Hermès nel mondo.
Alcuni degli iconici oggetti di Hermès esposti nel foyer del Teatro Parenti a Milano. Foto Omar Sartor
Alcuni degli iconici oggetti di Hermès esposti nel foyer del Teatro Parenti a Milano. Foto Omar Sartor
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