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Le piramidi di Meroe

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Le piramidi di Meroe

In pericolo uno dei siti archeologici più importanti dell’Africa: Meroe

Già esposto a rischi per le alluvioni stagionali del Nilo, il sito si trova vicino a un’importante miniera d’oro, gestita da una compagnia, la Meroe Gold, controllata dal gruppo di mercenari russi Wagner

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Francesco Bandarin

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Lo scoppio di un conflitto tra fazioni armate in Sudan lo scorso aprile espone a gravi rischi uno dei siti archeologici più importanti dell’Africa, Meroe, situato in una penisola formata dal Nilo e dal fiume Atbarah a circa 200 chilometri a nord della capitale Khartoum. Il sito, già esposto a rischi per le alluvioni stagionali del Nilo, si trova vicino a un’importante miniera d’oro, gestita da una compagnia, la Meroe Gold, che risulta essere controllata dal gruppo di mercenari russi Wagner, che sfruttano la concessione fornendo in cambio armi, motivo per cui l’Unione Europea ha imposto sanzioni alla compagnia.

Al momento non ci sono notizie di danni al sito archeologico, ma come sempre purtroppo avviene in questi casi, la perdita del controllo del territorio e la partenza dei gestori e degli specialisti aprono la strada a saccheggi e scavi clandestini. Meroe divenne, a partire dal VI secolo a.C. e fino al IV secolo d.C., la capitale di uno dei più potenti regni dell’Africa antica, il Regno di Kush, situato nella regione della Nubia, tra gli attuali Stati dell’Egitto e del Sudan.

Questa posizione permise al Regno di Kush di svolgere, fin dall’inizio della civiltà egizia nel III millennio a.C., un ruolo di collegamento tra le civiltà mediterranee e quelle africane. Regno originariamente indipendente dall’Egitto faraonico, anche se a esso strettamente collegato sul piano culturale e politico, Kush passò sotto il diretto dominio egiziano nel periodo del Nuovo Regno (1550-1070 a.C.), per poi rendersi di nuovo indipendente e finire per conquistare, nell’VIII secolo a.C., l’intero Egitto, fondando la XXV Dinastia, detta dei «faraoni neri», con capitale nella città di Napata, l’attuale Gebel Barkal.

La conquista assira dell’Egitto (677-663) innescò un periodo di lotte cruente, tra i nuovi dominatori e il Regno kushita guidato dai faraoni Taharqa (morto nel 664 a.C.) e del fratello Tanutamani (morto nel 653 a.C.), che videro persino la completa distruzione di Tebe (oggi Luxor), la millenaria capitale egizia, da parte del re assiro Assurbanipal (685-631 a.C.). Con il declino dell’Impero assiro, prese il potere il faraone Psammetico I che regnò tra il 664 e il 610 a.C. fondando la XXVI Dinastia, e che scacciò definitivamente i kushiti dall’Egitto. A quel punto essi spostarono la capitale del Regno più a sud, nell’isola di Meroe, che rimase fino al IV secolo d.C. il centro di un vasto impero, conosciuto nell’antichità con il nome di Etiopia.

La città, descritta attorno al 430 a.C. dallo storico greco Erodoto, divenne importante come sede del Governo, dei principali templi e delle necropoli reali, che ancora oggi caratterizzano l’area archeologica con le loro piramidi di pietra e mattoni, ispirate chiaramente alle tombe faraoniche egizie, ma di altezza minore e a forma più verticale. La cultura di Meroe mostra una grande influenza egiziana, anche se frammista a elementi locali. Molti dei templi sono dedicati a divinità egizie, come Amun e Isis. Tra le divinità locali, la più importante era quella del dio leone Apedemak, mentre molte altre divinità locali venivano associate a quelle egizie, come nel caso del dio Mandulis, considerato il figlio di Horus.

Questa cultura ibrida si manifesta anche nell’architettura e nella statuaria, dove spesso le immagini hanno una forma derivata da quella egiziana, ma con decorazioni locali. Nel corso del tempo, i legami con l’Egitto si affievolirono ed emerse anche una scrittura locale meroitica, che sostituì quella geroglifica. Questo cambiamento corrispose a una rivoluzione politica promossa dal re Arkamani I, chiamato Ergamene dai Greci (regna tra il 295 e il 275 a.C.), che attaccò e uccise i sacerdoti dei templi dell’antica capitale Napata, e trasferì le sepolture reali nella nuova capitale Meroe, come ricordato anche dallo storico greco Diodoro Siculo (I secolo a.C.).

Nella tradizione locale, le regine, chiamate «candace» (kentake), condividevano il potere con i re. La più famosa di queste regine fu la candace Amanishakhéto (regna tra il 35 e il 20 a.C.) che condusse una guerra contro l’esercito romano di Augusto nel 27-22 a.C., riuscendo anche a saccheggiare alcune città egiziane, prima di negoziare una stabile pace con l’Impero. Una testa bronzea di Augusto, ritrovata sepolta a Meroe e oggi conservata al British Museum di Londra, fa prova di questa avventura.

I resti archeologici di Meroe comprendono i palazzi reali, posti all’interno di un muro perimetrale di 400x200 metri, e alcuni templi. All’esterno del perimetro si trovano i templi principali di Amun, del Dio-Leone e quello cosiddetto del Sole, la cui divinità, probabilmente locale, non è stata identificata, ma che è il più importante per struttura e decorazioni. Vi sono diverse necropoli, di cui la più importante, quella reale, ha ben 44 piramidi, tombe di re, regine e principi reali.

Le piramidi sono in uno stato di conservazione abbastanza buono, nonostante il passaggio dei millenni e le offese degli uomini, tra cui spicca la demolizione di molte delle loro cuspidi, alla ricerca di tesori, operata dall’avventuriero italiano Giuseppe Ferlini nel 1834. A partire dal 1975, sotto la direzione dell’archeologo tedesco Friedrich Hinkel (1925-2007), molti edifici, tra cui il tempio del Dio-Leone, sono stati smontati e ricostruiti. Tuttavia, il sito è esposto a gravi pericoli a causa del regime irregolare del Nilo e, nonostante la realizzazione di alcune opere di difesa, forti inondazioni nel 2003 e nel 2020 hanno provocato danni alle strutture. Anche l’attuale situazione di conflitto in Sudan lascia temere che il sito possa subire aggressioni e danni.

L’autore è stato direttore del Centro del Patrimonio Mondiale e vicedirettore generale per la Cultura dell’Unesco dal 2000 al 2018
 

La necropoli reale di Meroe

Statua del faraone Taharqa, Louvre

Francesco Bandarin, 23 giugno 2023 | © Riproduzione riservata

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