Monica Trigona
Leggi i suoi articoliKeiko Kimoto, artista giapponese di Kyoto (classe 1977), si è formata all’Universität der Künste di Berlino per poi intraprendere un percorso che l’ha resa nota soprattutto in Germania e nella sua terra d’origine. Alla base del suo modo di dipingere c’è una pennellata rapida, l’uso di una vasta palette di colori e una buona dose di improvvisazione capace di conferire vitalità e dinamismo anche alle rappresentazioni più statiche. «Disegno una linea senza memoria e senza un’idea. Il colore armonizza visivamente con i miei sentimenti, connettendosi con le mie emozioni», dichiara l’autrice.
Dal 29 febbraio sino al 16 aprile, Impulse Gallery, fondata nel 2020 a Lucerna, la splendida cittadina medievale che sorge ai piedi delle Alpi svizzere, ospita la sua prima mostra con una sessantina di opere che variamente indagano il termine giapponese «Ma», traducibile come intervallo, pausa o vuoto nello spazio. Anche se si tratta di un concetto molto complesso, quasi impossibile da definire con precisione, esso è strettamente legato all’ambiente, al tempo e alle relazioni e ha influenzato molto la cultura giapponese.
Il «Ma», interstizio essenziale per «respirare», sentire e connettersi alla vita, è al centro della riflessione artistica di Kimoto che reinterpreta gli spazi, astratti e irreali dei sogni, invitando gli spettatori ad affacciarsi in una dimensione in cui le figure sono evanescenti e appaiono e scompaiono in ambienti vagamente tratteggiati e che invitano alla contemplazione.
Tra le opere in mostra una buona metà è stata realizzata ai tempi degli esordi della pittrice, nel 2004, mentre le altre sono state commissionate per l’occasione.
I protagonisti delle composizioni, donne, animali, alberi, pioggia, boschi e paesaggi onirici ispirati alla campagna giapponese, sono animati da una materia talora acquerellata talora opulenta. In un continuo fiorire e dissolversi di forme e colori, la linea acquista importanza inedita, tracciando confini e forme o, al contrario, muovendosi indipendentemente dal contesto e accennando a nuove narrazioni.
La sensazione di trovarsi dinnanzi ad immagini appartenenti all’inconscio collettivo è tanto più avvalorata dall’assenza di caratteri riconducibili a specifiche geografie e culture. Lo stile dell’artista, infatti, condensa le antiche tecniche giapponesi con elementi stilistici tipicamente occidentali. I lavori esposti, realizzati con acquerelli, carboncino, olio e tempere, sono di difficile classificazione oscillando con disinvoltura tra figurazione stilizzata e una tendenza all’astrazione di matrice postimpressionista che ne avvalora l’equivoca ambientazione.
Tra sogno e realtà, le opere richiamano la vita dell’uomo in un modo tutto loro, con spunti e suggestioni stimolanti e universali, tutti da cogliere. D’altronde, come afferma l’artista, «l’arte ha il ruolo di comunicare la gioia di provare. La vita regala ogni momento per arrossire e l’arte è un modo per sentire e godere dei sentimenti e dei sensi insieme ad altre persone. Se l’arte aiuta o meno un individuo dipende dai criteri di valore della vita dell’interessato». E infine, circa il suo ruolo aggiunge: «credo che condividere la gioia attraverso l’arte possa portare alla pace senza combattere».
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