Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliDopo circa un anno si sono conclusi, grazie al sostegno della Fondazione «Friends of Florence» e al dono della consigliera Stacy Simon in memoria del marito Bruce, i restauri nella Basilica di San Miniato.
Realizzati sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza, e in particolare della funzionaria Maria Maugeri, con un team di restauratori e professionisti della diagnostica e della conservazione, gli interventi hanno riportato l’edificio al suo «sorgivo nitore», ma senza mai turbare la vita della comunità monastica benedettina, come osserva l’abate di San Miniato padre Bernardo Gianni.
I restauri del pulpito (che poggia dal lato del camminamento, su due colonne in breccia con capitelli in marmo in stile corinzio composito) e della transenna, posta sul presbiterio a separare lo spazio della Gerusalemme Celeste dedicato alla preghiera, sono iniziati nella primavera del 2022. Si tratta di due pezzi unici dell’arte romanica, ampiamente studiati da Guido Tigler e da Nicoletta Matteuzzi che li hanno datati in un periodo compreso fra il 1160 e il 1175. Pur coperti da depositi coerenti e incoerenti, erano in discreto stato conservativo. Nella transenna, manutenzioni e restauri eseguiti nel tempo erano distinguibili per una cromia leggermente più chiara dei materiali utilizzati. Più preoccupante risultava invece l’alterazione sull’altare, di esecuzione più tarda, in corrispondenza della cornice marcapiano, degli archi e della zoccolatura che appoggia sul sedile di marmo. Il restauro è stato svolto da Daniela Manna, Marina Vincenti con la collaborazione di Laura Benucci, Vittoria Bruni, Elisabetta Giacomelli, Simona Rindi.
Sul retro della transenna le pitture murali, risalenti probabilmente al periodo più antico della chiesa (secoli XIII-XIV) ed eseguite in parte a calce in parte a buon fresco, con elementi decorativi architettonici, finti marmi, cornici e ed iscrizioni in latino, presentavano ridipinture a tempera lavabili, ora rimosse dal restauro eseguito da Bartolomeo Ciccone, Donato Ciccone e Sara Chiaratti.
Il «Cristo Crocefisso» in terracotta invetriata, attribuito da Giancarlo Gentilini alla bottega dei Buglioni e datato 1515 circa, presentava, oltre a un elevato strato di deposito atmosferico, vecchie integrazioni pittoriche sul perizoma e sulle braccia e una mano totalmente staccata e sorretta da chiodi, forse a causa dei vari spostamenti subiti. Come suggerisce anche la doppia croce lignea, una più piccola e antica, l’altra più recente, faceva forse parte di una pala più completa. La composizione è autoportante, tale che ogni pezzo va a incastrarsi con quello adiacente. Da una visione laterale il Cristo si presenta con esigui spessori, mentre la testa è realizzata in altorilievo e ben svuotata dall’interno. L’intervento conservativo di Filppo Tattini ha previsto lo smontaggio del Crocefisso dai supporti lignei, una pulitura superficiale con la rimozione o la riduzione a livello della superficie originale dei vecchi interventi alterati. La mano è stata ripulita e incollata nella corretta posizione.
Il mosaico del catino absidale (55 mq circa di superficie), costituito da tessere lapidee dipinte, vitree, a lamina d’oro, ceramiche, è stato restaurato a cura della ditta Habilis S.r.l. di Andrea Vigna e Paola Viviani (con la collaborazione di Stefania Franceschini, Chiaki Yamamoto, Eleonora Bonelli, Arianne Palla, Giulia Pistolesi, Marialuce Russo). Realizzato in più fasi dagli anni Settanta del Duecento, ben comprese nel corso delle accurate indagini, presentava depositi incoerenti e coerenti, atmosferici e nerofumo, lesioni e difetti di adesione degli intonaci, sollevamenti di singole tessere e di strati più superficiali, numerose stuccature alterate e debordanti ed estese ridipinture. Il restauro ottocentesco per opera di Antonio Gazzetta aveva comportato un rifacimento con la tecnica indiretta.
Infine, sul Busto reliquiario di san Miniato (la cui proposta di restauro aveva vinto la V edizione del «Premio Friends of Florence Salone dell’Arte e del Restauro» di Firenze organizzato dalla Fondazione in collaborazione con il Salone omonimo), è intervenuta Anna Fulimeni con la collaborazione di Francesca Rocchi. Realizzato in legno, stucco e cartapesta nel 1420 circa, il busto ritratto del soldato armeno ucciso dall’imperatore Decio e ritenuto primo martire della città è stato oggetto di diverse proposte attributive, tra cui quella di Carlo Del Bravo ad Antonio Federighi e di Luciano Bellosi a Donatello o a Nanni di Bartolo (documentato al suo fianco a partire dal 1419). Compromesso da alcune rotture nella struttura e con ridipinture, specie nel volto, e numerosi sollevamenti del colore e della doratura, il busto ha ora recuperato i valori espressivi che ne rendono più leggibile la concezione di statua a tutto tondo con notevole qualità dell’intaglio anche nel retro. È riemersa la policromia diafana dell’incarnato del giovane santo con sul capo una corona impreziosita da gemme che affonda nella massa dei capelli dorati. Degna di nota è poi la raffinatezza della veste frastagliata e della posa delle mani.
Per i restauri alla transenna, al pulpito, all’abside e all’altare le indagini scientifiche sono state condotte da Donata Magrini, Barbara Salvadori, Silvia Vettori dell‘Ispc-Cnr (Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Firenze; Cristiano Riminesi e Barbara Salvadori hanno curato invece il mosaico nel catino absidale. Le indagini con spettrometro ELIO a raggi X sono state a cura del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Firenze (Alba Santo, Sara Calandra); le indagini petrografiche su campioni di colore del Busto di san Miniato sono di Marcello Spampinato, mentre quelle diagnostiche a cura di TC c/o l’Istituto Fanfani di Firenze (Cecilia Volpe); Teobaldo Pasquali, infine, ha condotto le indagini Rx, Uv, Ir.
Altri articoli dell'autore
Nell’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti 16 dipinti ripercorrono oltre 50 anni dell’attività di un pittore che lavorò, secondo Sgarbi, alla «ricomposizione di un mondo perduto attraverso un’anastilosi della pittura»
Inaugurata la nuova sede in via Gustavo Modena: accoglie la fototeca con 630mila immagini documentarie sulla storia dell’arte e dell’architettura italiana e parte della biblioteca con oltre 160mila volumi
A Palazzo Vecchio una cinquantina di opere (comprese due sculture inedite) illustra il rapporto che Buonarroti intrattenne con committenti, regnanti e pontefici
Il cantiere appena avviato con i fondi del Pnrr interesserà il capolavoro romanico per un anno