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Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoliIl Museo del Prado ha presentato a gennaio il celebre ritratto «La Condesa de Chinchón» di Francisco Goya al termine del restauro sostenuto dalla Fundación Iberdrola España e realizzato dalla direttrice del Dipartimento di restauro del Museo Nacional del Prado Elisa Mora come ultimo lavoro di 38 anni di attività al museo.
Il consolidamento dello strato pittorico e la rimozione di patina e vernice ossidata dalla superficie di questo ritratto di corte (atipico rispetto ad altri dell’artista) hanno riportato in luce le coloriture originali, in particolare i toni sfumati e pallidi della giovane contessa, la trama sottile e i dettagli ricamati della mussola che ricopre il taffetà increspato dell’abito, le loro sfumature di grigi e di bianchi che creano piani sfaccettati a incastro per moltiplicare volumi e luminosità.
Le spighe di grano, che appaiono quasi vibranti al minimo gesto della testa, sono un’acconciatura alla moda ma anche un augurio di fertilità perché simbolo della dea Cerere e auspicio di una finalmente fortunata maternità: nell’aprile 1800, quando fu realizzato il dipinto, Maria Teresa de Borbón y Vallabriga Condesa de Chinchón (1780-1828) era incinta per la terza volta dopo due gravidanze andate a monte: a ottobre nascerà l’unica figlia Carlota-Luisa. La delicatezza del viso, la dolcezza e l’espressività timida e impacciata sono rese con virtuosismo tecnico e poco pigmento tanto che in molti punti affiora lo strato preparatorio rosato sottostante.
Dopo varie peripezie, il dipinto fu restituito nel 1814 alla Condesa de Chinchón per rimanere ai suoi diretti discendenti (il ramo divenuto spagnolo degli italiani principi Ruspoli) fino all’entrata al Prado nel 2000. Le indagini tecniche e radiologiche condotte per il restauro hanno confermato quanto ipotizzato vent’anni fa al momento dell’acquisizione, cioè che il ritratto è dipinto su di un’altra tela già utilizzata due volte da Goya: per un ritratto di Manuel de Godoy, principe de la Paz, onnipotente ma fallimentare primo ministro di Carlo IV e della regina Maria Luisa (di cui era l’amante), al quale il 2 ottobre 1797 fu data in sposa appunto la diciassettenne Condesa de Chinchón e precedentemente anche per il ritratto, al di sotto e perciò meno visibile, di un giovane cavaliere con la croce dell’Ordine di san Gennaro, forse Luis María (1777-1823), futuro cardinale arcivescovo di Siviglia e fratello maggiore di Maria Teresa.
Entrambe le immagini furono ricoperte da un denso strato di pigmento fra l’avorio e il rosa usato come base preparatoria e lumineggiante del ritratto di Maria Teresa, la cui natura fresca e indifesa emerge oggi dalla tela restaurata nei toni perlati dell’incarnato, delle guance rosate, dei capelli biondi. Proprio l’empatia infusa da Goya nel ritrarre questa fanciulla dallo sguardo innocente e smarrito, ignara vittima di intrighi, la circonda di uno spleen squisitamente romantico e rende l’opera unica nel corpus dei ritratti di Goya, di norma impietosi, duri, infierenti, derisori (si pensi al ritratto corale della «Famiglia Reale di Carlo IV e María Luisa» in cui nulla è risparmiato alla bruttezza fisica e morale di quei personaggi, neppure ai bambini), mai indulgenti neppure quando raffigurano una donna amata (le due «Majas»).
Qui appare invece trasparente e partecipe una tenerezza speciale per la giovane dama, che l’artista conosceva fin da piccina perché legato d’amicizia devota al padre, l’Infante Don Luis (1727-1785), (Goya dedicò all’amico e mecenate «La Famiglia dell’Infante Don Luis» oggi alla Collezione Magnani Rocca di Traversetolo). Cardinale a 8 anni (il più giovane della storia della Chiesa), l’Infante Luis a 50 gettò la porpora alle ortiche per sposare, incurante d’ogni scandalo, la diciottenne Maria Teresa de Vallabriga y Rozas, di antica ma mediocre nobiltà aragonese: fu il primo matrimonio morganatico nella dinastia Capetingia e costò a Don Luis il rango e l’esilio dalla corte.
Solo vent’anni dopo, acconsentendo a maritare la figlia María Teresa allo spregevole Manuel de Godoy, odiatissimo quanto corrotto favorito dell’imbelle Carlo IV e della regina-amante María Luisa, Don Luis riacquistò rango e onori per sé e il nome Borbón per i suoi figli.

«La Condesa de Chinchón» (1800) di Francisco Goya prima e dopo il restauro. © Museo Nacional del Prado, Madrid
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