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Particolare della «Resurrezione» di Niccolò Betti donata alle Gallerie degli Uffizi da Fabrizio Moretti

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Particolare della «Resurrezione» di Niccolò Betti donata alle Gallerie degli Uffizi da Fabrizio Moretti

Moretti dona agli Uffizi la «Resurrezione» di Niccolò Betti

Il dipinto va a infoltire nella collezione del museo fiorentino la presenza, finora un po’ carente, degli artisti dello Studiolo di Francesco I

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Laura Lombardi

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L’antiquario Fabrizio Moretti dona alle Gallerie degli Uffizi in memoria del padre Alfredo «La Resurrezione», un dipinto di Niccolò Betti (1546-1620), artista che, dopo la formazione presso Michele Tosini (Michele di Ridolfi del Ghirlandaio), una delle principali botteghe fiorentine del pieno Cinquecento, è chiamato a lavorare alla decorazione dello Studiolo di Francesco I (1570-72) a Palazzo Vecchio, testimonianza della varietà degli stili in voga a Firenze subito dopo la pubblicazione della seconda edizione delle Vite di Giorgio Vasari (1568).

Nello Studiolo, sotto la direzione di Vasari e seguendo il programma iconografico ideato da Vincenzo Borghini, pittori già noti si confrontano con le novità portate da altri più giovani, tra cui Betti stesso, che avrebbero continuato a operare nel nuovo secolo. Betti dipinge nell’ovale una scena identificata da Valentina Conticelli come il «Saccheggio di Corinto», che è sottostante al riquadro in cui Alessandro Fei del Barbiere raffigura il porticato degli Uffizi con le botteghe degli orafi per stabilire un collegamento tra la grande produzione antica di vasi bronzei a Corinto e la produzione nella Firenze di Francesco I.

La «Resurrezione» donata da Moretti si inserisce appieno nella temperie stilistica e culturale successiva all’impresa dello Studiolo, in anni che vedono l’artista spesso collaborare con Girolamo Macchietti, un altro pittore attivo in quella decorazione. Nel dipinto, con Cristo avvolto di nuvole che esce dal sepolcro e atterrisce i soldati, Betti esprime un linguaggio in cui si sommano elementi tosco-romani tipici dello stile vasariano, ma anche, specie nell’aspetto ventoso dei panneggi, di quello di Francesco Salviati, che negli anni Quaranta a Palazzo Vecchio aveva affrescato la Sala dell’Udienza.

Gli stilemi manieristi adottati da Betti sono evidenti nei colori ancora acidi e forti e nel disegno che nulla ha di naturalistico, come si nota dalle forti torsioni delle membra. Il pittore sarà poi attivo a Pisa, Siena, Montepulciano. Successivamente Betti continuerà a lavorare per i Medici che gli commissioneranno un’opera destinata al Monasterio de las Descalzas Reales di Valladolid, la «Santa Coletta di Corbie», tela in cui egli mostra invece di aver del tutto abbandonato gli stilemi tardomanieristi ed abbracciato la compostezza classica propria del gusto del Seicento fiorentino.

Il dono alle Gallerie degli Uffizi va a infoltire in modo significativo la presenza, finora un po’ carente, degli artisti dello Studiolo nella collezione, facendo seguito al recente ingresso dell’«Ascensione» di Tommaso Manzuoli detto Maso da Sanfriano. «È un dovere di noi mercanti d’arte restituire alla comunità opere che vadano a colmare lacune del patrimonio museale», commenta Fabrizio Moretti, «ho già donato a musei internazionali come il Metropolitan e il Getty e sono ora felice di donare l’opera di Betti in memoria di mio padre (anch’egli antiquario, scomparso nel 2018) a un museo importante come gli Uffizi, del cui comitato scientifico faccio parte».

Particolare della «Resurrezione» di Niccolò Betti donata alle Gallerie degli Uffizi da Fabrizio Moretti

Laura Lombardi, 19 maggio 2023 | © Riproduzione riservata

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Moretti dona agli Uffizi la «Resurrezione» di Niccolò Betti | Laura Lombardi

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