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Giusi Diana
Leggi i suoi articoliL’intervento di ricostruzione a partire da parti originali e il sollevamento di uno dei 38 telamoni, le colossali mezze colonne antropomorfe in calcarenite alte 7,65 metri (databili tra il 480 e il 470 a.C.) che ornavano il tempio di Giove Olimpio, è di quelli che non passano inosservati. Sono partiti a marzo nella Valle dei Templi i quattro cantieri che prevedono, tra le altre cose, un intervento di «musealizzazione» di alcuni reperti di «decorazione architettonica», tra cui uno dei telamoni, nell’area in cui sorgeva il tempio di Giove Olimpio, di cui rimangono al suolo solo parte dei ruderi.
È bene ricordare che del più grande tempio greco incompiuto della Sicilia rimane solo un ammasso di blocchi calcarei, venuti giù nel corso dei millenni a causa di distruzioni e terremoti e nel Settecento utilizzati perfino per costruire il molo di Porto Empedocle. Nulla di visibile in alzato, neanche una colonna, mentre sul terreno, dentro quella che era la cella, giace una copia realizzata dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze dell’unico telamone originale ricomposto, quello conservato nella sala 6 del Museo Archeologico Pietro Griffo, poco distante da qui.
Il telamone del Griffo esposto in posizione verticale venne a sua volta ricostruito nell’Ottocento dall’artista Raffaello Politi su disegno di Charles R. Cockerell, unendo vari pezzi (una pratica, quella dell’anastilosi, ampiamente diffusa fino a quel momento ma che in seguito ha imposto grande cautela). In un primo tempo questo telamone composto da blocchi di calcarenite venne lasciato in situ, ricomposto orizzontalmente all’interno di quella che era la cella del tempio.
Negli anni Cinquanta avvenne la sua musealizzazione nel nuovo Museo Archeologico e attualmente costituisce il fulcro del percorso espositivo, dove nella sala 6 si trova esposto insieme ad altre tre teste di telamoni. Ora si pensa di ricostruirne un secondo, da esporre in posizione verticale nella zona a nord-est del tempio, su un livello di circa sei metri più basso rispetto al piano di camminamento. Un colpo d’occhio a effetto, in cui si vede sorgere isolato dalle rovine, e non nella posizione originaria, disposto com’era insieme agli altri telamoni a 11 metri d’altezza a reggere l’architrave del tempio che di fatto non può certo essere ricostruito.
Già Pirro Marconi negli anni Venti aveva individuato i resti di altri sette telamoni, e un ottavo è venuto fuori dalla campagna di rilievi del Parco Archeologico della Valle dei Templi che dal 2005 è proceduta per tre anni in collaborazione con l’Istituto Archeologico Germanico di Roma. Ora l’annuncio che le parti di questo ottavo telamone originale, ritrovate e ricomposte su rilievo di Heinz-Jürgen Beste saranno collocate in situ.
L’enorme statua verrà sostenuta da una lastra di acciaio corten con mensola, mentre si procederà anche a riassemblare una porzione della trabeazione del tempio. Gli interventi della durata di nove mesi, a cantiere aperto, dovrebbero concludersi entro l’anno.
«L’area merita di essere recuperata e valorizzata, spiega il direttore del Parco archeologico della Valle dei Templi Roberto Sciarratta, il pubblico presto la potrà visitare nella sua interezza: saranno chiusi gli accessi secondari e si potrà seguire un unico percorso di visita che dall’Olympieion condurrà ai resti dell’altare, liberato dai massi crollati durante gli scavi negli anni Venti, così da far riguadagnare la percezione del collegamento tra altare e tempio. I visitatori non si fermeranno alla Concordia ma saranno invogliati alla scoperta di tutta la collina dei Templi, fino al bacino della Kolymbethra».

Veduta dell’area in cui sorgeva il Tempio di Giove Olimpio

Veduta dell’area in cui sorgeva il Tempio di Giove Olimpio

Il progetto di sostegno del telamone del tempio di Giove Olimpio
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