Virtus Zallot
Leggi i suoi articoliIl Vangelo di Matteo non narra la nascita di Gesù, ma solo ci informa sul dove (a Betlemme di Giudea) e quando (al tempo del re Erode) avvenne. Qualche ulteriore ma scarna informazione aggiunge il Vangelo di Luca: «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo». Già nelle raffigurazioni più antiche, tuttavia, oltre ai santi genitori (Maria distesa e assorta, Giuseppe in disparte) compaiono il bue, l’asino e le levatrici. Solo i due animali, però, permangono nel nostro presepe: le levatrici sono invece scomparse, progressivamente estromesse (dopo il XIV secolo) dallo schema iconografico della «Natività». Chi erano e qual era la ragione della loro presenza?
I Vangeli apocrifi (fonte narrativa privilegiata dei racconti e delle raffigurazioni medievali) riferiscono di Giuseppe che, dopo aver trovato un riparo per Maria oramai in procinto di partorire, esce a cercare le ostetriche. Il loro accorrere si rivelò però inutile, poiché trovarono il bambino già nato: miracolosamente ed entro una splendida luce. La prima a giungere, verificata la verginità di Maria che pure aveva partorito, gioì della straordinaria evenienza e ne informò Salomè. Tale seconda levatrice non volle tuttavia credere «senza farne esperienza» (Leggenda Aurea). Si apprestò pertanto a indagare la natura (di nuovo dalla Leggenda Aurea) della Vergine madre e, istantaneamente, le si bruciò o paralizzò la mano. Pentitasi amaramente, su consiglio di un angelo toccò (o prese in braccio) il bambino e guarì.
Nella traduzione iconografica più antica le levatrici testimoniano la propria inutilità (e dunque la straordinarietà del parto) ignorando la puerpera, quando invece nella raffigurazione di altre nascite la rifocillano con sollecitudine recandole un pasto sostanzioso. Accudiscono invece il piccolo Gesù e, anche se non ne avrebbe avuto bisogno, lo sottopongono al bagnetto che accoglie tutti i neonati, a dimostrarne la vera umanità.
Non mancano tuttavia esempi iconografici che illustrano il loro stupore e l’incredulità di Salomè, elevandole a testimoni della verginità di Maria. Così nella formella della cattedra eburnea di Massimiano (VI secolo, presso il Museo Arcivescovile di Ravenna) o nei dipinti parietali in Santa Maria Foris Portas a Castelseprio (IX secolo, ma la datazione è controversa). In entrambi Salomè ha appena esaminato la natura della puerpera infatti distesa; a Castelseprio, con le gambe ancora leggermente divaricate. La mano indagatrice della levatrice incredula è rattrappita.
Altre opere illustrano il suo pentimento, raffigurandola mentre tocca il bambino o lo prende in braccio. Tale contesto narrativo spiegherebbe l’insolito gesto di Maria entro la «Natività» (1303-05) della Cappella degli Scrovegni a Padova, affrescata da Giotto tra il 1303 e il 1305. La Vergine rialza infatti il bambino per consentire a una donna (Salomè?) di infilargli la mano sotto il corpicino, o forse per concederglielo in braccio.
Nei dipinti parietali (IX secolo) della Cripta di Epifanio a San Vincenzo al Volturno (Isernia), al bagnetto di Gesù è dedicata una specifica scena, altrove collocata a margine della «Natività». Salomè posa le mani sullo ieratico ed enorme bambinello: una delle due mani (per quanto la superficie molto abrasa consenta di osservare) appare vistosamente rattrappita.
Il bagnetto è anche protagonista della «Natività» (ma la denominazione non è del tutto corretta) di Lorenzo Lotto (1521 ca) presso la Pinacoteca Nazionale di Siena; naturalmente con esiti formali e grado di realismo totalmente diversi. Mentre la madre immerge il piccolo Gesù (che, con reazione umanissima, si inarca al contatto con l’acqua) entro il bacile, Salomè si avvicina e, con espressione interrogativa e implorante, allunga verso il bambino le mani orribilmente rattrappite.
Quando (dopo il XIV secolo) la «Natività» si trasformò in «Adorazione» (con i genitori e altre eventuali figure che, per l’appunto, adorano il piccolo Gesù) le levatrici scomparvero, con qualche eccezione. Come negli affreschi (1435 ca) di Masolino da Panicale nella Collegiata di Castiglione Olona. Appena e miracolosamente uscito dal ventre materno, il neonato è posato a terra entro una culla di luce. Maria, Giuseppe e una donna lo adorano; un’altra, pure inginocchiata, allunga verso di lui una mano orribilmente contratta. A breve si scioglierà e Salomè, a mani giunte, si unirà agli altri per adorare il bambino, avendo accettato il mistero della sua nascita verginale.
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