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Alberto Salvadori
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Ennio Flaiano il 18 agosto 1979 sul «Corriere della Sera» citò un pranzo con l’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi e altre persone del mondo della cultura. Bene, una volta servita la frutta, il presidente, data la magnificenza e la grandezza delle pere in tavola, chiese se qualcuno dei presenti volesse condividere con lui uno di quei frutti. Questo aneddoto ci rimanda a una classe dirigente e a un mondo dove l’essere parchi, la sobrietà e l’attenzione all’altro erano il centro del pensare e dell’agire. Purtroppo per noi, quella attitudine si è in gran parte dissipata, dilapidata anche per forme di narcisismo e gestione del potere decisionale intrise di povertà e debolezza intellettuale. Il mondo della cultura ne è una vittima predestinata.
Un esempio di come tale incapacità stia andando a ledere, forse per sempre, l’intero sistema dell’arte è anche il recente Decreto cultura (diventato legge) che stabilisce come l’Iva sulle opere d’arte rimanga con un’aliquota al 22%, lontana da quella di altri Paesi come Francia e Germania, che hanno pensato bene di abbassarla tra il 5,5% e il 7%. Questa decisione oltre che dannosa denota anche decenni di totale incompetenza culturale della classe politica. È chiaro come un intero settore ne sia danneggiato, non solo i galleristi o i mercanti ma ovviamente anche gli artisti, gli editori del settore e, udite udite, le nostre istituzioni culturali.
Intanto, essendo l’Italia in Europa, chi potrà aprirà un ufficio o una sede in altro luogo e le conseguenze sono facili da immaginare. L’allontanamento di molti protagonisti del mondo dell’arte dal nostro territorio andrà inesorabilmente a influire anche sulla già scarsa possibilità di musei e altri soggetti culturali di intercettare e programmare progettualità, poiché sempre meno vorranno investire in Italia. Di certo la miopia di chi governa, ora come prima, non ha mai saputo interpretare il dinamismo interno di un mondo come quello della cultura contemporanea, ha sempre prediletto il consumo del patrimonio ereditato per sbandierare risultati di biglietti venduti e conseguente degrado dei siti culturali. Altro dato davvero sconcertante di chi prende le decisioni (e ripeto: adesso come in passato) è non tener conto neppure del fatto che oramai molte attività culturali sono svolte da soggetti non profit operanti nel terzo settore che non hanno alcun tipo di agevolazione. Su questo vorrei tornare in maniera approfondita. Il vero tema di queste decisioni è il vuoto intellettuale di una classe politica e il naturale degrado delle loro decisioni con un susseguirsi di decreti, riforme e norme deleterie per tutti. Partire dalla cultura e poi fare politica sarebbe l’ideale percorso perché è chiaro che senza cultura la politica non si può fare. Mancano gli Einaudi e noi dobbiamo accontentarci da tempo di ben altro.
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