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Stefano Luppi
Leggi i suoi articoliNegli anni di pandemia nel mondo ci si è ricordati che il «viaggio» può anche essere semplicemente fare il giro dell’isolato o arrivare al vicino negozio di alimentari, in un’accezione del termine che era stata dimenticata e che si unisce a quelle più usuali legate al percorrere lunghe distanze fisiche o mentali. Il ventaglio di declinazioni legate al verbo del movimento per antonomasia è quindi ampio e variegato, toccando ambiti quali la scoperta, la memoria, l’esodo, la geografia e la storia.
Lo dimostra anche la quarta edizione della «Biennale Disegno Rimini» che ritorna, aperta fino al 28 luglio, a cura di Massimo Pulini, intitolata «Ritorno al viaggio, dal Grand Tour alla fantascienza» e composta da una dozzina di rassegne organizzate nei principali luoghi cittadini tra cui il Museo della città a Castel Sismondo, la Biblioteca Gambalunga e il Palazzo del cinema Fulgor. In tutto sono esposti circa mille disegni, provenienti, tra l’altro, dalla Real Academia de San Fernando di Madrid e dai Fonds Régional d’Art Contemporain de Picardie, oltre che da molte collezioni italiane pubbliche e private: si tratta di materiali eterogenei che spaziano dai taccuini di viaggio di Felice Giani (1758-1823) a quelli di Lorenzo Mattotti (Brescia, 1954), dalle incisioni di Giovan Battista Piranesi (1720-78) agli acquerelli degli inglesi William Hamilton (1751-1801) e John Robert Cozens (1752-97) e ai progetti di Thayaht (1893-1959) fino ai lavori di Morandi, Fontana, Fautrier senza dimenticare i Carteles del cinema cubano e i disegni del cartoon «La rosa di Bagdad», nonché la produzione odierna al Cantiere Contemporaneo.
Tra gli appuntamenti principali, «Il tesoro della Westmorland. I disegni predati del Grand Tour» che narra il viaggio del 1778 della nave Westmorland tra Livorno e Londra con il suo prezioso carico composto da innumerevoli forme di Parmigiano Reggiano e svariate casse di dipinti, incisioni, libri acquisiti dai nobili inglesi nel loro Grand Tour italiano, ma la nave viene catturata dalla Marina Francese e condotta a Malaga. Lì, dopo rocamboleschi passaggi di mano, il carico viene venduto al re di Spagna che lo destina alla Real Academia di Madrid, dove tutt’ora si trova: gli acquerelli di Hamilton e Cozens esposti a Rimini, raffiguranti la campagna romana, il Vesuvio, i Campi Flegrei provengono da quel nucleo. Con un balzo di alcuni secoli si giunge a «Thayaht. Il futuro presente», a cura di Guido Cribiori e Sabrina Foschini che illustra la produzione di Ernesto Michahelles, tra gli inventori nel 1919 della tuta maschile, attraverso disegni, studi e bozzetti per sculture, mobili, oggetti d’arredo, monumenti, abiti e decorazioni tessili compresi tra il 1917 e il ’58. Un appuntamento curioso è «Viaggio in una stanza. Una collezione d’arte moderna incorniciata all’antica. Le opere dello studiolo Rivi», a cura di Alessandra Bigi Iotti: la raccolta unisce i maggiori artisti del ’900, da Capogrossi a Fontana, Fautrier, e Ligabue entro preziose cornici risalenti ai secoli XVI-XVIII. Tra le altre mostre quella curata da Andrea Losavio e Massimo Pulini al Museo della Città permette un «viaggio» nella produzione contemporanea degli street artist Bastardilla, Hitnes e di Giuliano Guatta, Ana Juan e Paco Pomet, tra gli altri.