Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliUno stato di sospensione, come quello del pattinatore che atterra e volteggia sul filo di una lama. Forze note e variabili imponderabili si mescolano in esercizi di equilibrio che rendono gli oggetti, altrimenti inerti, materiali conduttori di energia. Succede nei lavori fotografici di Alessandra Spranzi, artista milanese, classe 1962, di cui è in corso fino al 20 gennaio la terza personale in galleria P420. Titolo della mostra una frase tratta da Gli otto quaderni in ottavo di Franz Kafka: «Egli rincorre i fatti come un pattinatore principiante, che per di più si esercita dove è vietato», con fotografie a colori e cinque video inediti degli ultimi due anni.
Al centro del suo lavoro oggetti d’uso quotidiano osservati in momenti e situazioni in cui cessano la loro funzione. Sedie in bilico appoggiate a un tavolo, una tazzina vuota da caffè sulla lama di un coltello leggermente sollevato, delle arance raggruppate su un tavolo di cemento, una noce in equilibrio, delle bocce ferme in un campo di pétanque. Alcune immagini sono in movimento, rappresentano azioni minime, spesso involontarie: i lembi di una tovaglia mossa dal vento, il lento procedere di un uomo a cavallo durante una festa di paese, una ragazzina che palleggia. Sono i frammenti di una bellezza minimale insita nelle cose, segmenti di pensieri come le frasi fluttuanti scritte da Kafka, opere in cui l’artista osserva le traiettorie del caso e dell’esistenza. Anche se le figure sono sempre riconoscibili, queste immagini parlano un linguaggio astratto, fatto di linee, direzioni, movimenti. Lo stesso vale per il suono che le accompagna, fatto di note, dissonanze, pause, silenzi. «La composizione visiva e musicale iniziata da questi oggetti e gesti immersi nel quieto vivere si espande nello spazio circostante, con una partitura polifonica ma pur sempre minimale», spiega Lisa Andreani, autrice del testo critico della mostra per la quale è stato inoltre realizzato il libro d’artista «Esercizi», edito in 100 esemplari.
Dall’1 febbraio al 23 marzo P420 ospiterà invece l’artista bolognese Adelaide Cioni (1976) con la personale «Drawing for Myself». Traduttrice, laureata in storia contemporanea, diplomata in scultura all’Accademia di Belle Arti di Roma, con studi in disegno all’Ucla di Los Angeles, Cioni si interroga sul processo di rappresentazione delle immagini. Nelle opere esposte si è liberata dalle pressioni e dalle aspettative del mondo esterno per provare a dare forma a elementi concreti e concetti astratti: la traduzione, la voce, la noia, gli oggetti, il corpo, la geometria, lo spazio. Un’operazione più speculativa che pratica in cui la maggior parte del tempo è stata concessa al pensiero, all’elaborazione di un’immagine spesso impossibile da mettere a fuoco. Anche nel suo caso, come accade per Spranzi, l’oggetto va incontro a una rarefazione, la forma è scomposta nei suoi elementi più semplici, reiterati in schemi fatti di poche linee, luce e colori. Il mare, per esempio: «È del tutto impossibile disegnare il mare, tutti quelli che ci hanno provato, anche i grandi maestri, come Monet e Matisse, hanno solo abbozzato un accenno di mare, e nessuno è riuscito a ritrarlo davvero. Ho pensato quindi che il mare è quella cosa che puoi solo approssimare, come si può solo approssimare ciò che si vorrebbe dire. E infatti il mare ha molto a che vedere con il linguaggio», dice l’artista.
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