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Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliNel sito di Firuz, a tre chilometri e mezzo a ovest della Terrazza di Persepoli, i Babilonesi avevano eretto una porta che gli archeologi paragonano alla celeberrima e, ai nostri occhi moderni, immaginifica Porta di Ishtar conservata a Berlino grazie ai resti di mattoni cotti, crudi e invetriati finora rinvenuti.
Decorata con figure come un toro, un leone e un drago-serpente, la costruzione della porta monumentale doveva risalire al 539-530 a.C. E questo ce lo raccontano i ritrovamenti in corso nel modesto rilievo di Tol-e Ajori (in lingua farsi «collina dei mattoni», ma è troppo bassa per essere un colle), in un terreno un tempo agricolo. E dove, per chissà quanto tempo, i contadini sono incappati senza saperlo in mattoni di 2.500 anni fa che hanno riutilizzato.
Chi ci illustra quanto sta accadendo in terra iraniana è Maria Letizia Amadori, del Dipartimento di Scienze di base e Sezione di chimica dell’Università di Urbino. Insieme a Mohammadamin Emami dell’Università di Shiraz sta conducendo indagini archeometriche sui reperti emersi dagli scavi che dal 2011 interessano Firuz: si tratta di un’estensione delle ricerche qui avviate dal 2008 dalla missione archeologica irano-italiana dell’Università di Bologna guidata da Francesco Callieri e il Research Institute for Cultural Heritage and Tourism of Iran condotto da Alireza Askari Chaverdi. E queste esplorazioni vedono laureandi, dottorandi e archeologi dei due Paesi fianco a fianco.
La studiosa ci ricorda alcune date per orientarci: la Porta di Ishtar di Babilonia viene collocata intorno al 580 a.C. Dario I avrebbe fondato la Terrazza di Persepoli nel 518 a.C. Gli archeologi presumono che Tol-e Ajori stia in mezzo e sia stata edificata tra il 539 e il 530 a.C. Qui stanno trovando frammenti di mattoni crudi, cotti e, appunto, invetriati, pur se dai colori sbiaditi perché indeboliti dall’acqua usata per irrigare le coltivazioni di riso o mais.
Da cosa desumere il parallelismo con la porta di Ishtar? «Anche la pianta corrisponde a quella della parte sud della porta ora a Berlino, risponde Maria Letizia Amadori tornata a Firuz a ottobre, anzi, questa era più grande: misurava 39x29 m, l’altra 29,20x22 m. Le analisi mostrano anche che le argille carbonate e i rivestimenti vetrosi sono gli stessi impiegati sia in vetrine egiziane che mesopotamiche. E parliamo di centinaia di mattoni».
Sono a ogni buon conto la tecnica di lavorazione dei mattoni e l’iconografia a spingere gli archeologi al paragone con la città di Babilonia: «Abbiamo scoperto praticamente adesso i motivi decorativi perché hanno perso quasi tutto il colore. Il disegno del toro, il ricciolo e la zampetta del drago-serpente, il muso del leone si possono confrontare proprio con la porta della dea Ishtar a Babilonia, anche le misure sono identiche».
Viene spontaneo dedurre che la porta introducesse a un palazzo. «Intanto l’abbiamo trovata. Sono emersi anche anelli e frecce». La speranza è ampliare il lavoro: «Vorremmo scavare anche nei terreni circostanti ma sono di privati, si spera che il governo iraniano li compri come acquistò quello dove ora studiamo. Per adesso a ogni fine campagna richiudiamo tutto. In futuro vorremmo rendere il sito visitabile, montare pannelli esplicativi, avere una sorveglianza permanente, mettere una copertura, recintare».
Per la parte italiana, la scienziata di Urbino indica come erogatori dei fondi il Ministero degli Esteri, il Light House Group e la Fondazione Flaminia.
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