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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliLa «Gioconda» di Leonardo non è sempre stata un’opera «cult» così com’è oggi. L’entusiasmo e l’aura che circondano il ritratto di Monna Lisa maturano nel XIX secolo, quando il dipinto accende l’immaginazione di artisti e letterati. Proprio in quella temperie culturale, il 3 maggio 1879 a Firenze, Frederick Stibbert acquista presso l’antiquario Valmori una copia della «Gioconda» per destinarla al grande salone della quadreria della sua dimora, poi donata al Comune di Firenze e oggi museo diretto da Enrico Colle.
L’opera proveniva dalla collezione Mozzi del Garbo di Firenze, andata all’asta pochi giorni prima e nel cui inventario il dipinto figura dall’inizio dell’Ottocento. Citato prima come opera di Leonardo e poi come copia, è considerata ad oggi tra le più antiche e pregevoli sia da un punto di vista stilistico, sia per la fedeltà con l’originale concluso a Firenze nel 1506.
La «Gioconda Stibbert» è da poco tornata nella casa museo dopo il restauro di Daniele Rossi con Gloria Verniani e il suo staff, finanziato da Amici Museo Stibbert e Lions Club Firenze Poggio Imperiale e sostenuto da Gagliani Assicurazioni. A collocare ai primi anni del Seicento l’esecuzione del dipinto è stata la natura dei materiali e dei colori rilevati in occasione del restauro: il blu di cobalto, detto smaltino, e quindi vetro colorato e macinato, il rosa dell’incarnato, la biacca, le ocre gialla e rossa, la tela utilizzata e la preparazione rossastra, nonché la craquelure superficiale.
La condotta pittorica è molto delicata, specie nel volto della donna. Piccole varianti sono nella decorazione della scollatura della veste e nella semplificazione delle pieghe delle maniche, come anche nel paesaggio, dove sono appena accennati i basamenti in scorcio con un frammento di colonne sulla balaustra in pietra serena. Per ricreare lo sfumato leonardesco e ottenere i passaggi chiaroscurali, l’ignoto artista usa il corpo a corpo e la velatura. Nel corso del restauro è stato scelto di conservare la preparazione a gesso e colla stesa sulla tela di rifodero nell’Ottocento per ripristinare le dimensioni originarie del dipinto che erano state rifilate in precedenza.
È riemersa inoltre traccia di ridipinture con colori a olio sul cielo sulle montagne sul fiume e sul ponte, zone probabilmente consunte da precedenti puliture. Il dipinto è stato poi montato su nuovo telaio in legno di pioppo con sistema di espansioni a forcella, prima di procedere alla fase finale di stuccatura delle mancanze e dei bordi perimetrali e alla reintegrazione pittorica.

La Sala della Quadreria con il dipinto ai tempi di Stibbert
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