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Particolare della Maestà affrescata da Cimabue nella Chiesa Inferiore della Basilica di Assisi. Foto: Stefano Miliani

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Particolare della Maestà affrescata da Cimabue nella Chiesa Inferiore della Basilica di Assisi. Foto: Stefano Miliani

La Madonna di Cimabue viaggia in Ferrari

La casa automobilistica ha finanziato con 300mila euro l’intervento sull’affresco della «Madonna in trono con Bambino, quattro angeli e san Francesco» nella Chiesa Inferiore: «Non sarà più necessario restaurarlo per cent’anni»

Stefano Miliani

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Nella sua monografia del 1998 su Cimabue, Luciano Bellosi descrisse la «Madonna in trono con Bambino, quattro angeli e san Francesco» nella Chiesa Inferiore della Basilica di San Francesco ad Assisi come «un enorme disegno scolorito». Lo «stato di conservazione talmente cattivo» non impediva comunque di cogliere «il grande respiro di questa composizione e la nuova fluidità che la caratterizza». Lo storico dell’arte ricordava che l’affresco, rinomato anche per l’effigie riconoscibile del santo, sulla sinistra, fu ritoccato nel 1587 e venne restaurato tra il 1872 e il 1874 da Guglielmo Botti e nel 1973 dall’Istituto Centrale per il Restauro.

Mezzo secolo dopo l’opera è stata oggetto di un intervento di un anno condotto dalla Tecnireco di Spoleto sotto la direzione del caporestauratore del Sacro Convento Sergio Fusetti e la sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria e con un finanziamento di 300mila euro (tutto compreso) della Ferrari. Concluso prima di Natale, l’intervento verrà presentato ufficialmente entro il mese di febbraio.

Nella commistione tra pellicola pittorica originale e disegno preparatorio, a distanza ravvicinata la «Maestà» commuove e rivela come la superficie pittorica abbia recuperato luminosità, per esempio nelle splendide dorature nel manto della Vergine. E san Francesco? Oltre a interventi che hanno voluto restituire uniformità al saio, le indagini diagnostiche non invasive, come la spettrofotometria Xrf e la spettroscopia infrarossa hanno sciolto un dubbio. Come ricorda una restauratrice, l’Istituto Centrale per il Restauro riportò alla luce l’intero orecchio sinistro, prima coperto in parte da una doratura probabilmente ottocentesca. Ora le indagini hanno accertato una continuità piena tra la parte interna e quella esterna dell’orecchio e, di conseguenza, un’unica mano, quella del maestro toscano.

Dipinto nel braccio destro della crociera nei secondi anni Ottanta del Duecento, l’affresco di oltre tre metri per quasi tre e mezzo appariva appannato, cromaticamente ovattato dallo sporco depositatosi a causa perlopiù dei milioni di persone che ogni anno visitano la Basilica francescana. Alcuni tasselli visti da vicino nel corso del sopralluogo durante la pulitura attestano nitidamente la differenza tra il prima e il dopo, come quello sul mantello dell’angelo più basso a destra: appare spento, offuscato, rispetto alla superficie d’intorno dove la materia risulta vibrante, più viva. Una volta consolidato l’intonaco sull’intera superficie e riadeguato ove necessario il tratteggio verticale, la Tecnireco, laddove ha trovato cadute di pellicola pittorica e piccole abrasioni (soprattutto nella zona del trono e degli angeli), ha proceduto all’integrazione pittorica con un colore neutro a velatura che, spiegano i tecnici, ha permesso di ripristinare la compattezza del tessuto. Dove l’azzurrite sul fondo è caduta, ed è emersa la preparazione sottostante, grigia, si è proceduto con un abbassamento di tono neutro in modo da ricostituire una compattezza visiva senza ripristinare l’azzurrite mancante.

Cimabue, osserva il caporestauratore, «non aveva la tecnica del buonissimo affresco che troviamo più tardi in Giotto, Simone Martini o Pietro Lorenzetti. Faceva grandi campiture ad affresco e le finiva quasi tutte a secco, l’intonaco si asciugava e il colore non vi penetrava perfettamente». In più hanno inciso velature e sovrammissioni di precedenti restauri. «Soprattutto nel corso del restauro ottocentesco l’opera aveva subito manomissioni abbastanza forti», rimarca Fusetti, per cui buona parte del lavoro è consistita in una pulitura estremamente attenta, spesso usando la lente d’ingrandimento.

«Dall’ultimo restauro l’opera aveva un protettivo che negli anni Settanta tutti noi restauratori applicavamo per proteggere gli affreschi. In grossi quantitativi col tempo tendeva a rendere la superficie specchiante, ingialliva e la nuova illuminazione rendeva la vista da basso imperfetta, per cui lo abbiamo eliminato. Con questo intervento restituiamo la vera materia del Cimabue arrivato a noi: si vede la ricchezza delle lumeggiature in oro che prima non si vedeva per lo strato di sporco», spiega il caporestauratore del Sacro Convento. Per il futuro? Affinché il pulviscolo non indurisca e quindi ingrigisca la superficie pittorica, assicura Sergio Fusetti, lo strato di polvere verrà tolto con la manutenzione annuale, basterà una spolveratura, ed è fiducioso: «Confidiamo che non sia necessario restaurare l’affresco per cent’anni».

Particolare della Maestà affrescata da Cimabue nella Chiesa Inferiore della Basilica di Assisi. Foto: Stefano Miliani

Stefano Miliani, 19 gennaio 2024 | © Riproduzione riservata

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