Luana De Micco
Leggi i suoi articoliIn Francia le mostre «immersive» rientrano ormai a pieno titolo nelle politiche culturali del Governo. Il 7 settembre nell’ambito del Cnc, il Centre national du cinéma et de l’image animée, è stata creata una commissione ad hoc per la «creazione immersiva» con un fondo di 3,6 milioni di euro. Si legge sul sito del Cnc: per «creazioni immersive» si intendono «opere audiovisive innovative che propongono un’esperienza di visualizzazione dinamica legata al movimento dello sguardo e/o all’attivazione dei contenuti visivi o sonori da parte dello spettatore, facendo appello alle tecnologie di realtà virtuale o aumentata e a ogni dispositivo che permette l’immersione».
La sovvenzione (per un massimo del 50% delle spese di preproduzione o produzione) è destinata agli autori e produttori di contenuti sulla base di alcuni criteri: la qualità della scrittura e della proposta visiva, l’adeguamento del progetto ai formati e supporti di diffusione, la padronanza tecnica del progetto, la prospettiva di diffusione presso un pubblico internazionale e la coerenza del budget.
Le mostre immersive sono diventate una questione di interesse nazionale da quando, il 12 ottobre 2021, il presidente Emmanuel Macron ha presentato il suo piano di investimento «France 2030», da 30 miliardi di euro «in risposta alle grandi sfide del nostro tempo», in materia di nuove tecnologie e transizione ecologica, che si pone 10 obiettivi.
Tra questi, lo sviluppo di mini reattori nucleari o ancora di tecnologie per la produzione di idrogeno verde, ma anche, al punto 8, di «contenuti culturali e creativi», a cui sono destinati 2 miliardi di euro: «Le industrie culturali e creative in Francia rappresentano 640 mila posti di lavoro e 91 miliardi di euro di fatturato, aveva detto Macron in un lungo discorso all’Eliseo. Ma quando guardo all’estero, vedo molti vicini che investono miliardi in questo settore. Il ruolo dell’autorità pubblica è di stimolare pratiche di investimento e la creazione di filiere».
Dalla Francia al mondo
Pioniere nelle mostre immersive in Europa è del resto proprio una società francese, Culturespaces, fondata nel 2000 da Bruno Monnier, che nel 2018 ha aperto in un’ex fonderia di Parigi L’atelier des Lumières, dopo aver sperimentato il concept a Les Baux-de-Provence con le Carrières des Lumières, il suo primo «centro d’arte digitale» inaugurato nel 2012 in una suggestiva ex cava di pietra. Ora Monnier è a capo di un impero, con un fatturato di 77 milioni di euro, e Culturespaces conta otto centri nel mondo.
Dopo Bordeaux, Seul e l’isola di Jeju in Corea del Sud, Amsterdam e Dubai, l’ultimo, l’Hall des Lumières, ha aperto a New York il 15 settembre nell’ex Emigrant Industrial Savings Bank: un progetto da 22 milioni di dollari. Culturespaces gestisce anche due musei parigini, il Maillol e il Jacquemart-André, e ha acquisito l’Hôtel de Caumont, a Aix-en-Provence, trasformato in centro d’arte. Il fenomeno è contagioso. Nel settembre 2021 è stata inaugurata a Zurigo la Lichthalle Maag, con «Viva Frida Kahlo-Immersive Experience», che ha già raggiunto anche Bruxelles e Madrid. Proprio a Madrid è nato da poco, a marzo, il Mad-Madrid Artes Digitales, negli spazi del Matadero, l’ex mattatoio.
Mostre o esperienze? Semplicemente spettacoli
Nel giro di pochi anni, queste «mostre», o più esattamente «esperienze», o semplicemente «spettacoli», che scandalizzano i puristi dell’arte, hanno rivoluzionato il rapporto del pubblico con l’opera d’arte. I centri d’arte digitale non sono musei, non posseggono opere fisiche, ma collezioni di riproduzioni digitali di capolavori, ad altissima risoluzione, che vengono proiettate sulle pareti, spesso con un supporto sonoro, grazie alle innovazioni tecniche del video mapping. Capolavori di Cézanne, Monet, Dalí, Chagall, Klimt e naturalmente Van Gogh. Il pittore olandese è al centro di numerose esperienze in giro per il mondo, tra cui «Immersive Van Gogh: Exhibit», per la regia di Massimiliano Siccardi, prodotta da LightHouse Immersive, che ha venduto 5 milioni di biglietti.
Da un certo punto di vista, il digitale in qualche modo è una risposta alla questione dei prestiti e del costo esorbitante dei trasporti e delle assicurazioni, oltre che quella più attuale dell’emergenza climatica (dato l’impatto in termini di emissioni di CO2 dei viaggi in aereo). Il successo recente del concept forse è stato in qualche modo accelerato dalla pandemia di Covid-19, che ha ridotto e complicato gli spostamenti, tanto delle persone che dei quadri. Il primo anno l’Atelier des Lumières ha attirato 1,3 milioni di visitatori.
Il pubblico, o per curiosità o per reale interesse, per ora risponde presente, malgrado il prezzo elevato dei biglietti: 15 euro per l’Atelier des Lumières di Parigi, più del doppio, 35 dollari, per l’Hall des Lumières a New York. Proibitivo anche il prezzo di «L’horizon de Khéops» (29 euro), un’esperienza di 45 minuti in realtà virtuale presentata dal 14 giugno al 2 ottobre all’Institut du Monde arabe di Parigi, sold out nei mesi estivi, che ha raggiunto Lyon Confluence il 3 novembre: il visitatore, con casco e zaino connesso, visita virtualmente la piramide di Cheope, a Giza, e viene proiettato sulla sua cima su una piattaforma volante.
Venezia al Grand Palais
Il mercato delle esperienze digitali è interessante e le istituzioni pubbliche francesi non hanno perso tempo a posizionarsi. Le iniziative si moltiplicano. Il 21 settembre scorso si è aperta a Parigi «Venise révélée» (fino al 19 febbraio 2023), prima mostra del Grand Palais Immersif, un nuovo spazio dedicato alle mostre immersive nei locali dell’Opéra Bastille. Il progetto è nato dalla collaborazione di due istituzioni pubbliche, la Réunion des musées nationaux-Grand Palais (Rmn), l’operatore che si occupa di produzione di mostre, accoglienza del pubblico ed editoria di settore, e l’Opéra national de Paris.
Per differenziarsi, alla dimensione ludica è stata aggiunto un obiettivo pedagogico, con l’ausilio della Fondazione Musei Civici di Venezia: «Crediamo ai contenuti più che allo spettacolo di suoni e luci e pensiamo che la maturità tecnologica può mettersi al servizio della narrazione», ha spiegato Roei Amit, direttore del Grand Palais Immersif. In un percorso cronologico, su monitor interattivi e proiezioni su pannelli monumentali, il visitatore esplora virtualmente il Canal Grande, assiste alla nascita della città e penetra nei suoi monumenti più celebri, grazie alla ricostruzione 3D della città realizzata dalla Iconem, una start-up francese che aveva già fatto volare i suoi droni su Palmira e Aleppo. Si fa comunque appello alle immagini del videogioco «Assassin’s Creed» per esplorare la città in epoca medioevale.
La Rmn-Grand Palais ha anche lanciato il progetto Muse, che consiste nel creare degli spazi destinati alle proiezioni immersive riutilizzando i contenuti prodotti dal Grand Palais Immersif. Questa volta in una logica di «decentralizzazione» della cultura su cui da anni lavorano i Governi di Parigi. Il Muse, spiega il Ministero, ha due «missioni principali: favorire l’accesso alle grandi opere d’arte e mettere le sue competenze al servizio dei territori». Tre spazi hanno già aperto, a Saint-Dizier (est) e Maubeuge (nord) in settembre, e a Barentin (Normandia) in ottobre. La prima mostra presentata è «Pompei», con le immagini 3D girate dai tecnici della Gedeon Programmes sul sito archeologico proposte per la prima volta al Grand Palais nel 2020. In primavera seguirà «La Joconde. Exposition immersive», realizzata con il Louvre, che ha accolto circa 40mila visitatori l’estate scorsa al Palais de la Bourse di Marsiglia.
Attirare pubblici nuovi
Ufficialmente, per chi le produce, le mostre digitali hanno il nobile ruolo di «democratizzare» l’accesso all’arte, raggiungendo i pubblici più vasti, anche i più lontani e svantaggiati, i giovani soprattutto che disertano i musei, dando loro appunto la voglia di varcare le soglie dei musei dove sono esposte. «All’origine del progetto dell’Atelier des Lumières c’è la constatazione, basata sull’analisi di dati su quindici anni, che il pubblico dei musei invecchia, ha spiegato di recente Jacques de Tarragon, direttore del centro d’arte digitale parigino. Altro dato: il 70% dei francesi non ha mai visitato un museo nell’arco della propria vita. Si trattava dunque di attirare un pubblico più giovane e mostrare che le opere dei grandi maestri sono sempre attrattive».
Jacques de Tarragon ha aggiunto altri dati: nel 2019, il 35% dei visitatori dell’Atelier des Lumière aveva meno di 35 anni e il 34% visitava il centro con la famiglia. Il 55% era costituto da abitanti della regione di Parigi, mentre gli stranieri costituivano solo il 22%. L’obiettivo di ampliare il pubblico sembra raggiunto, ma è impossibile a questo stadio dire quanti di questi giovani poi sono effettivamente andati anche a visitare un museo per così dire «tradizionale».
Nella stessa logica, il Centre des Monuments nationaux (Cmn), l’ente pubblico francese che gestisce quasi cento monumenti nazionali in tutta la Francia, ha investito nella realtà virtuale in collaborazione con Atout France, l’agenzia per lo sviluppo del turismo francese e la promozione turistica della Francia nel mondo: un milione di euro per l’esperienza «Survol de la France», disponibile dal 3 settembre negli studi di FlyView, start-up francese che ha aperto nel 2018 nel quartiere dell’Opéra Garnier, a Parigi (22 euro).
In pratica si prende posto su un jet pack (una sorta di zaino-razzo virtuale) e, dopo aver indossato un casco con visore e stretto le cinture di sicurezza, si «decolla» per sorvolare virtualmente in 22 minuti una quindicina di siti e monumenti in tutta la Francia, dal Pont du Gard ai vulcani dell’Alvergna, dal castello sulla Loira di Azay-le-Rideau alle scogliere di Étretat, grazie a immagini 3D girate da droni o a bordo di ultraleggeri. Il Cmn ha messo a disposizione di FlyView il modello 3D del Mont-Saint-Michel, borgo e abbazia, realizzato nel 2022 utilizzando i droni. L’impressione a un certo punto è di poter sfiorare la statua dorata del santo che si trova in cima all’abbazia.
Per il Cmn, l’esperienza digitale deve essere «complementare», e non «sostitutiva», alla visita dei monumenti. Si rivolge tanto ai turisti stranieri (a breve dei jet pack potrebbero essere installati nei grandi aeroporti) quanto ai francesi, per stimolarli a visitare i siti del patrimonio storico del Paese. Come ha fatto notare il direttore di FlyView, Julien Goupit, il 60% dei loro visitatori è costituito al momento da abitanti della regione di Parigi. Le mostre digitali rappresenterebbero anche un primo approccio all’arte e ai monumenti per i bambini. L’esperienza «darà voglia a pubblici diversi di conoscere meglio e di visitare i grandi siti storici del nostro Paese», secondo Philippe Bélaval, presidente del Cmn.
Le esposizioni immersive trionfano anche in Spagna
L’ultimo tra i mostri sacri a trasferirsi nel metaverso è Salvador Dalí. Con «Dalí cibernetico», aperta nel Centro delle Arti Digitali Ideal de Barcellona, è la prima volta che la Fondazione Dalí, sempre molto reticente nel permettere l’uso delle opere dell’artista, autorizza che vengano decostruite, trasformate e animate, con l’unica condizione che siano mostrate nel formato originale almeno una volta nel corso della visita. L’esposizione, che ha richiesto un investimento iniziale 1,2 milioni di euro e la collaborazione degli studi più all’avanguardia nei vari campi delle nuove tecnologie, converte l’universo onirico di Dalí in uno spazio immersivo e interattivo, e offre quell’esperienza che l’artista ricercava già nel teatro-museo inaugurato a Figueres nel 1974.
Per «Dalí cibernetico» è stato creato per la prima volta un metaverso in cui 40 persone possono accedere contemporaneamente per godere individualmente e collettivamente di uno spazio digitale in continua evoluzione. Imbarcati su una nave spettrale, la cui polena è Gala nuda, i visitatori sono circondati da un turbine di elementi provenienti dall’opera di Dalí e l’esperienza immersiva è così intensa che più di un visitatore è sopraffatto dalla mancanza di riferimenti spaziali.
Se le precedenti proposte dell’Ideal, dedicate a Monet, Klimt e Frida Kahlo, hanno avuto un grande successo, questa promette di battere tutti i record. Il primo giorno oltre 15mila persone avevano acquistato i biglietti attraverso il sito e dopo 20 giorni erano già 32mila. Nei prossimi 4 anni l’allestimento verrà presentato in 20 città, iniziando da Londra e Santiago del Cile in dicembre e Istanbul in febbraio. In Italia arriverà nell’autunno 2023, a Torino, e poi nella primavera 2024 a Roma.
Contemporaneamente la Fondazione Dalí ha concesso una licenza a una società di edutainment (education+entertainment), per sviluppare un progetto didattico con 160 opere dell’artista in formato digitale, conservate in più di 20 musei e collezioni private in tutto il mondo, che sarebbe stato impossibile riunire fisicamente. Sarà uno scontro di titani perché insieme a «Dalí Challenge», i capannoni della fiera di Madrid accoglieranno anche «Imagine Picasso» che arriva in Europa dopo il successo in Canada e Stati Uniti. In entrambi i casi si tratta di proposte multimediali, che utilizzano realtà virtuale e aumentata, light box e molti schermi, ma niente a che vedere con la tecnologia avanzatissima di «Dalí cibernetico». [Roberta Bosco]
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