Luana De Micco
Leggi i suoi articoliI due «Schiavi» (o «Prigioni») di Michelangelo sono tornati nella galleria del Louvre dopo il restauro, dove saranno presentati il 23 marzo. L’intervento è durato circa due anni, con tutte le complicazioni legate alla pandemia di Covid-19.
Nel 2020 le due sculture sono state esposte nella mostra «Il corpo e l’anima» (ottobre 2020-giugno 2021), che ha poi raggiunto il Castello Sforzesco di Milano senza i due marmi, inamovibili, al posto dei quali fu presentata la Pietà Rondanini. La mostra «è stata l’occasione di sottoporre i marmi a una batteria di analisi per conoscere meglio il loro stato strutturale e di conservazione e valutare un intervento di restauro, ha spiegato Marc Bormand, conservatore per le sculture italiane del Dipartimento delle Sculture del Louvre. L’idea non è mai stata di restituire lo stato originale, che non ritroveremo mai, ma di migliorare la presentazione, attenuare le macchie e restituire la luminosità persa».
Lo «Schiavo ribelle» e lo «Schiavo morente» hanno raggiunto il Louvre nel 1794. Furono realizzati da Michelangelo tra il 1513 e il 1515 per la tomba di papa Giulio II nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma, per essere collocati nella parte inferiore del monumento. Il progetto fu modificato e Michelangelo, che non li finì mai, li donò a Roberto Strozzi, che ne fece omaggio a sua volta al re di Francia. Da allora i marmi hanno avuto una storia molto movimentata, passando per diversi proprietari.
Per più di 200 anni sono stati esposti all’aperto, sulle facciate dei castelli di Ecouen e di Richelieu. Prima di raggiungere la mostra, le due sculture sono state ritirate dalla galleria Michelangelo per raggiungere i locali del Centre de recherche et de restauration des musées de France (C2RMF), che occupa un’ala del palazzo del Louvre.
Gli ultravioletti e ultrasuoni hanno rivelato un buono stato di conservazione, senza problemi strutturali. Gli esperti hanno dovuto affrontare tre problematiche centrali: «Primo: una fessura che attraversa il viso dello Schiavo ribelle, spiega Ann Bourgès, ingegnere di ricerca al C2RMF, che per fortuna non mette a rischio la stabilità del marmo ed è piuttosto limitata. Di sicuro un difetto della struttura interna del blocco scelto da Michelangelo, che deve averlo disturbato molto nel suo lavoro e forse spiega il carattere meno finito di quest’opera rispetto allo Schiavo morente.
Secondo: la presenza di macchie giallastre dovute a residui di licheni, conseguenza dell’esposizione prolungata all’aperto, che hanno dato al marmo di Carrara un aspetto patinato.
Terzo: bisognava ritrovare un’unità cromatica sui marmi, sapendo che presentano venature diverse nella forma e nei toni, intervenendo con metodi delicati». Il restauro, le cui modalità sono state decise da un Comitato scientifico di cui ha fatto parte anche la restauratrice Sabina Vedovello, che aveva già lavorato sulla Pietà Rondanini, e portato avanti da Hélène Susini e Azzurra Palazzo, è stato realizzato in due tempi.
Prima della mostra i due marmi sono stati sottoposti a una pulitura minimalista a base di getti di vapore acqueo. Dopo la mostra, è stato realizzato un trattamento più in profondità con applicazioni di una formula di gel per scrostare le macchie scure. L’antiestetica fessura sul viso del «Ribelle» è stata colmata con un composto di polvere di marmo. Ogni intervento è reversibile.
Non esistono documenti su eventuali interventi passati sulle due sculture. Ma gli esperti, paragonando lo stato di conservazione di due copie di marmo degli «Schiavi» esposte sulla facciata del castello di Chantilly da più di cento anni, che presentano oggi un avanzato stato di erosione e un’accentuata presenza di materia organica, ritengono che i due «Schiavi» del Louvre siano stato puliti più volte in passato, probabilmente levigati e trattati a soluzioni di acido, come si usava fare nell’800 e nel primo ’900.
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