Flaminio Gualdoni
Leggi i suoi articoliC’è un mondo a parte negato ai comuni mortali, in cui si aggirano gli esperti del Ministero: con tanto di investitura ufficiale, che deve essere stata conferita loro direttamente dal mago Merlino o piuttosto, a occhio, da Lord Voldemort.
E non mi riferisco tanto alla notizia che ha fatto più scalpore, la traccia del concorso per docenti in cui si doveva discutere della «razza europea». Che fosse, per citare il sommo filosofo, «una cagata pazzesca», è fuor di dubbio, e che avesse il tipico sentore fascista d’antan, ma con verniciatura moderna (uè, parliamo d’Europa, adesso) è fatto in Italia non troppo inconsueto, vista l’aria che tira.
Oltretutto i giornali ce l’hanno raccontata come una delle amenità del giorno, una cosa che scandalizza alcuni ma molti altri no: alla fin fine, cosa vuoi che sia?
C’è un altro caso che, annidato nelle maglie dei soliti concorsi per docenti, mi ha molto più colpito. Il concorso riguardava l’insegnamento musicale e chiedeva testualmente: «Progetta un’unità didattica formativa che faccia provare gli alunni di una classe prima [delle scuole medie!] a leggere nel setticlavio secondo la notazione antica adiastematica».
Qui il delirio è, se possibile, ancora maggiore, ma è reso impalpabile dal fatto che nessuno di noi ha mai studiato musica a scuola: ai miei tempi, se ti andava bene, ti beccavi la «Primavera» di Vivaldi su un giradischi da schifo ed era tutto.
Gli esperti musicali preposti alla formulazione delle domande andavano sul velluto: erano i sommi saggi, detentori d’un sapere esclusivo, e non temevano il giudizio di nessuno. Per loro, usare nella stessa frase le espressioni «setticlavio» e «notazione adiastematica» era un piccolo orgasmo, di quelli che fan dire al profano: «Ciumbia, quante ne sa questo».
Chiedere del setticlavio a uno che deve insegnare alle medie è come chiedere al suo collega di disegno di parlare diffusamente ai ragazzi del De diversis artibus del Theophilus presbyter. Dalle mie parti, si dice: «Sparare con il cannone ai passeri».
Oltretutto, quanti mortali avrebbero potuto accorgersi che la notazione adiastematica era in uso prima dell’invenzione del rigo musicale, dunque con il setticlavio non c’entra una cippa? Il superesperto ha elaborato, per fare il figo, un soggetto sofisticato al punto che era anche sbagliato, per dire.
Come un peracottaro qualsiasi. A proposito di esperti, sono ricapitato in questo giorni nel famigerato sito Siae che segnala l’«Elenco autori non reperiti», e perciò non pagati (!): in una videata a caso ho trovato Gunter Damisch, Arturo Dazzi, Pierluca Degli Innocenti, Angelo Del Bon, Marco del Re, Hugo Demarco, Jean Dewasne, Diulgheroff, Ercole Drei, e via discorrendo sino a Nathalie Du Pasquier.
Anche quelli della Siae si danno un tono da gente cui si deve massimo rispetto, pensa un po’, anche se con ogni evidenza meglio sarebbe se cambiassero mestiere. Per fortuna le domande del concorsone per la scuola non le hanno affidate a loro.
Da figlio di un’altra era geologica, ripenso con tenerezza al giradischi Geloso delle mie scuole medie, alle «Quattro stagioni» e al fatto che nessuno ti diceva neanche per sbaglio l’epoca in cui è vissuto Vivaldi: e il vaffa agli esperti, ministeriali e non, mi prorompe dai precordi.
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