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Luana De Micco
Leggi i suoi articoliUn «Santo Stefano» di Taddeo di Bartolo (1362-1422), dal 1945 nella collezione del principe Joseph Clemens, storico dell’arte e membro della famiglia reale di Baviera, e le cui stime si aggirano tra 90 e 120mila euro. O ancora, dello stesso artista, un «Sant’Antonio da Padova» realizzato nel 1395 per la cappella Sardi-Campigli della chiesa di San Francesco, a Pisa. L’opera, stimata 60-80mila euro, fa parte di un dittico attualmente conservato allo Szépmüvészeti Múzeum (Museo di Belle Arti) di Budapest. Sono due tra i lotti più rilevanti della vendita «Primitivi italiani» organizzata da Piasa il 9 dicembre.
Le 90 opere battute all’asta, soprattutto di maestri toscani, appartengono a un collezionista appartenente a una facoltosa famiglia di industriali del Nord Italia. È storico dell’arte e possiede una galleria d’arte contemporanea a Parigi e una casa editrice specializzata. «Dovermi separare ora da una parte della collezione, che ho cominciato a riunire 25-30 anni fa, per me è una sofferenza», ha detto parlando al nostro giornale. «Alcune di queste opere, come il “San Bernardino da Siena” di Pietro di Giovanni d’Ambrogio, fanno ormai parte del mio Dna. Mi sono preso cura di ognuna di loro, rivolgendomi ai migliori restauratori e studiosi. Ma nella vita si deve andare avanti, e ora ho progetti importanti».
Il «San Bernardino da Siena» di cui parla, di un artista senese che fu allievo di Stefano di Giovanni di Consolo, detto Il Sassetta, molto bella per le sue qualità cromatiche, presenta sullo sfondo la rappresentazione di una città, Perugia o Assisi. Proviene dal castello di Vincigliata a Fiesole, noto per i suoi affreschi e la collezione di armature, ed è stimata 70-90mila euro. Qualche altro lotto spicca per la rarità, come il desco da parto attribuito ad Apollonio di Giovanni (1441-65).
Questi tondi, dipinti da entrambi i lati, venivano generalmente offerti alle donne delle famiglie più abbienti dopo il parto del primo figlio e potevano essere usati come vassoi per vivande. Nel desco in questione è dipinta su una faccia una scacchiera, sull’altra lo stemma della famiglia de Comitibus di Foligno. L’attuale proprietario ha acquisito l’oggetto dalla collezione del mercante Carlo de Carlo, che lo aveva a sua volta acquistato dal collezionista parigino Emile Gavet. È stimato 70-90mila euro.
Da notare anche i due «fronti di cassone» della prima metà del XV secolo. In genere questi cassoni venivano usati per conservare la dote della sposa e poiché spesso presentavano motivi profani o scene mitologiche molti furono bruciati su ordine della Chiesa, il che ne spiega rarità e valore. I pochi in circolazione sono conservati in grandi musei, al Bargello di Firenze o al Victoria and Albert Museum di Londra. I due presentati da Piasa sono stimati 80-100 mila euro.
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