Maurita Cardone
Leggi i suoi articoliSi allarga la casa dell’arte italiana nella Hudson Valley. Il 14 settembre Magazzino Italian Art apre al pubblico il nuovo padiglione dedicato alle mostre temporanee che va ad affiancarsi all’edificio preesistente in cui è ospitata la collezione di Arte povera dei fondatori, Nancy Olnick e Giorgio Spanu. Al padre di lei, Robert, è dedicato il nuovo edificio che, con tre livelli, 1.200 metri quadrati e un design firmato dagli architetti Alberto Campo Baeza e Miguel Quismondo, consentirà al museo di ampliare la propria offerta spaziando nell’intero panorama dell’arte italiana moderna e contemporanea. Senza, tuttavia, perdere le proprie radici.
Entrando nella nuova palazzina, la continuità con l’edificio preesistente si manifesta nella forma di un’opera di Michelangelo Pistoletto che accoglie il visitatore all’ingresso del padiglione: commissionata per l’occasione, è uno dei suoi Quadri Specchianti, uno specchio su cui sono applicate le sagome dei genitori di Nancy Olnick e che li circonda degli spazi e del pubblico del museo. «È una fotografia scattata a Roma» ha ricordato la figlia con un velo di commozione nella voce, durante un partecipatissimo evento di inaugurazione domenica 10 settembre, «i miei genitori hanno sempre avuto un forte legame con l’Italia».
Ed è in quel legame che affondano le radici di una collezione e di un museo. La coppia Olnick Spanu ha infatti iniziato a collezionare con i vetri di Murano, cui oggi dedicano una stanza nel nuovo edificio, per poi arrivare all’Arte povera. Di questa storia si trovano tracce in tutto il museo che, dalla sua apertura nel 2017 è stato un baluardo dell’arte italiana in una zona in cui la presenza dei nostri connazionali era tradizionalmente legata a un’immigrazione operaia.
Schifano e l’America
Superato l’ingresso e salutati Mr and Mrs Olnick, lo spazio si dirama nei due bracci di una T. Da un lato c’è una delle due sale in cui si sviluppa la mostra «Mario Schifano: The Rise of the ‘60s», la prima grande retrospettiva museale negli Usa sul lavoro dell’artista tra gli anni ’60 e i ’70, in corso fino all’8 gennaio. Curata da Alberto Salvadori, la mostra coincide con i sessant’anni dal primo viaggio di Schifano in America, un incontro che forse era nel destino di entrambi. Le opere esposte sono ottanta, tutte da collezioni private, e raccontano lo sviluppo di quello stile unico che trasformava tutto in arte.
In posizione simmetrica rispetto alla galleria che ospita Schifano, c’è una sala cubica con tagli di luce negli angoli e una finestra da cui si intravede il piano superiore. Qui, è installato fino all’8 gennaio un progetto speciale dedicato a Ettore Spalletti e intitolato Parole di Colore. Le proporzioni dello spazio, la luce, l’equilibrio e la simmetria del white cube innescano con le tele monocrome e le due sculture di Spalletti un dialogo lirico amplificato da un’installazione che è di per sé un'opera metafisica, in grado di diluire i confini tra arte e architettura in uno spazio reinventato.
I vetri di Scarpa
Al piano di sotto, nell’interrato, sulla destra, una sala rettangolare con una lunga teca a muro che ne copre l’intero perimetro contiene 56 deliziose creazioni in vetro di Murano disegnate da Carlo Scarpa (e, da quanto ci ha raccontato il curatore Mario Barovier, anche, almeno in parte, realizzate da lui stesso, dato che a Scarpa pare piacesse partecipare al processo produttivo) tra il 1926 e il ’47 e che appaiono invece incredibilmente contemporanee.
Più avanti, la mostra di Schifano continua in un’ampia galleria allestita per lo più con lavori di grandi dimensioni. Dalla vetrata a tutta altezza in fondo alla sala ci si affaccia su un cortile interrato le cui pareti in cemento si innalzano fino al livello del giardino esterno e a cui, il giorno dell’inaugurazione, la pioggia aveva dato un aspetto austero. Le opere qui in mostra sono invece coloratissime e rivelano tutta la dirompenza del lavoro di Schifano. Qui l’allestimento è più arioso che al piano di sopra dove a tratti risultava affollato.
Di certo affollata è stata la giornata inaugurale, con centinaia di persone arrivate per un brindisi e pranzo a buffet servito tra i giardini del museo e nella caffetteria. Molti quelli che, approfittando della domenica, hanno fatto il viaggio da New York per esserci. Tanti anche i locali, parte di una comunità con cui, come ha sottolineato il direttore Vittorio Calabrese, il museo è fortemente connesso e verso cui vuole continuare ad aprirsi. «Dopo aver offerto oltre 100 programmi in sette anni, ci siamo accorti che lo spazio che avevamo non era più sufficiente per rispondere ai bisogni della nostra comunità e così abbiamo deciso di espanderci. Oggi Magazzino è un campus», ha detto.
Molta della socialità si è svolta nei giardini e negli spazi all’ultimo piano, dove, passando per un’opera di Marinella Senatore installata nella scalinata, si accede a un bookshop pieno di made in Italy che è anche una caffetteria, dove si serve espresso e dove lo chef Luca Galli preparerà piatti italiani. Per l’opening qui si servivano drink e gelati. Dal bookshop una finestra quadrata si affaccia all’interno del cubo che ospita le opere di Spalletti, mentre una vetrata si apre sul patio con i tavolini. Oltre, prati, alberi e il recinto degli ormai famosi asinelli sardi tanto cari al fondatore Spanu e tanto fotografati durante l'inaugurazione.
Nel corso della giornata inaugurale, dopo gli eventi stampa e i discorsi ufficiali, gli ospiti si sono intrattenuti con la musica dal vivo, mentre la pioggia dava finalmente tregua. Tra gli amici di Magazzino Italian Art arrivati per festeggiare il nuovo nato, rappresentanti delle istituzioni, tra cui il Console Fabrizio Di Michele, curatori star come Cecilia Alemani e poi tantissimi artisti italiani di base a New York che in Magazzino trovano una comunità.
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