Enrico Tantucci
Leggi i suoi articoliSalvare l’area di Rialto e il suo storico mercato del pesce e dell’ortofrutta, trasformandolo anche in un grande fondaco dell’artigianato veneziano dei qualità, unendolo alla cultura del cibo, compreso quello da consumo o da asporto, oggi assente. Cambiandone, dunque, in parte la natura, perché è l’unico modo per farlo sopravvivere. Se Venezia non ricomincia a sognare e a progettare, sfruttando la risorsa turistica anche per la sua sopravvivenza, finirà appunto per morire di ciò che oggi, impropriamente, la fa vivere: il turismo di passo.
Quella per Rialto è ancora una proposta, più che un progetto delineato, ma è l’unica sul tappeto (coinvolgendo anche gli operatori del mercato e le associazioni di categoria) nel sostanziale disinteresse per il futuro dell’area dell’amministrazione comunale veneziana, al di là di piccoli interventi di restyling e di tentativi di riassegnazione dei banchi (sempre più lasciati liberi dagli operatori che «scappano» perché non ce la fanno più).
A rilanciarla è stata la tre giorni di dibattito sul tema «Mercati storici e rigenerazione urbana in Europa» (2-4 novembre), organizzata dall’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti, con la collaborazione dell’Associazione Progetto Rialto, che da anni lavora proprio sul tema della rivitalizzazione dell’area realtina, puntando appunto su cibo, cultura e artigianato. A fare da tramite la professoressa Donatella Calabi, storica dell’architettura che è membro dell’Istituto e insieme presidente dell’Associazione.
L’obiettivo finale è un convegno internazionale da organizzare nel marzo del prossimo anno, ma intanto si sono chiamati a Venezia rappresentanti di mercati storici europei che ce l’hanno fatta a rilanciarsi, per avere da essi spunti e suggerimenti. Come quelli di Monaco, di Bruxelles, di Salonicco, del General Market West Smithfield di Londra e dei mercati di Firenze e Zagabria. Tutti in grado di sopravvivere trovando una nuova dimensione tra turismo e tutela delle funzioni urbane e residenziali.
Così, ad esempio, lo storico mercato londinese delle carni all’ingrosso ha saputo riorganizzarsi in una sorta di «condominio», con naturali estensioni verso i ristoranti della zona. Quello di Salonicco combina elementi dei mercati d’Europa e dei bazar dell’Est, offrendo spazi attrattivi non solo per il commercio, ma anche per il tempo libero, una programmazione culturale e educativa e un uso turistico, collegato però alla vita della città. Anche Bruxelles, pur alle prese con problemi di perdita di residenti e di pendolarismo lavorativo, ha saputo rivitalizzare anche l’area mercatale al centro della città storica.
E, in Italia, l’esempio del Mercato Centrale di Firenze (brand presente anche a Torino e a Roma, Ndr), come ha spiegato anche il suo direttore Umberto Montano, che ha saputo coniugare efficacemente le presenze turistiche con quelle dei residenti, puntando su cibo di qualità e street food. Quelli che chiama «artigiani del gusto», che suggeriscono anche per Venezia una diversa concezione del mercato.
Oggi a Venezia i turisti (soprattutto quelli giornalieri «mordi e fuggi») al mercato di Rialto vengono, ma solo per scattare foto ai pesci o ai molluschi che ancora popolano i banchi dei venditori. Senza comprare nulla, perché non sono a Venezia per cucinare. E una delle richieste che provengono dagli operatori è appunto quella di consentire sui banchi anche uno spazio per lo street food, cucinando una parte del pesce in vendita e offrendolo a veneziani e turisti. Richiesta a cui il Comune di Venezia però si oppone, temendo uno stravolgimento del mercato che però è già nei fatti (in assenza di correttivi) con la sua progressiva sparizione.
Ma la vera partita si gioca sui grandi «contenitori» pubblici dell’area. Tra questi, il Palazzetto delle Pescherie, sopra il mercato del pesce, con la sua loggia affacciata sul Canal Grande: di proprietà del Comune e in gestione alla Fondazione Musei Civici, è desolatamente vuoto da un decennio, in assenza di qualsiasi progetto di riuso. E soprattutto le magnifiche e cinquecentesche Fabbriche Nuove di Rialto, a pochi metri di distanza, progettate da Jacopo Sansovino, di proprietà del Demanio e che da molti anni ospitano gli uffici e le aule del Tribunale. Destinati, però, nel giro di un paio d’anni, a traferirsi nella nuova Cittadella della Giustizia, in via di ultimazione in piazzale Roma.
Che ne sarà delle Fabbriche Nuove? L’ennesimo albergo a cinque stelle affacciato sul Canal Grande, visto che la loro conformazione è perfetta per un’eventuale trasformazione alberghiera, come la stessa professoressa Calabi ha ricordato al convegno? Sarebbe uno scandalo. Ma le Fabbriche Nuove, come è stato da più parti sottolineato, potrebbero diventare invece il centro del nuovo polo artigianale collegato al mercato, portando qui gli artigiani di qualità che ancora esistono a Venezia, e che potrebbero fare anche formazione. Ma ci sarebbe spazio anche per attività espositive e per altre, compatibili, legate agli stessi atenei veneziani di Ca’ Foscari e Iuav, presenti alla tre giorni dell’Istituto. Certo serve la collaborazione di Comune e Demanio, un progetto articolato e una gestione professionale e non affidata a dirigenti comunali, coinvolgendo le stesse categorie.
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