Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoli« Chi viene da fuori dovrà capire le tue radici e tu dovrai capire le sue ragioni »
Dolci e verdi colline che si rincorrono tra le province di Asti e Alessandria, incorniciate dalle Alpi e costellate di borghi, castelli, chiese, campanili, cascine, campi e vigneti, «è il territorio disegnato negli anni dai nostri agricoltori, gli “indiani” di questo territorio», così Fabio Carosso, ex assessore regionale, introduce a centinaia di ospiti internazionali il Monferrato, dove oggi è stata inaugurata la quarta edizione di «Panorama», visibile a Camagna, Vignale, Montemagno e Castagnole fino a domenica 8 settembre. Il territorio Unesco (Paesaggio vitivinicolo del Piemonte insieme a Langhe e Roero) entra così ufficialmente tra le eccellenze meno note del Paese raccontate da Italics. «Sindaci e comunità hanno lavorato tantissimo per rendere questo paesaggio molto interessante, sapendo dire no alla costruzione di zone industriali e capannoni che in un piccolo paese poteva rappresentare l’opportunità per crescere e per trattenere ragazzi migrati a Milano, Alessandria o Asti», aggiunge Carosso. «Ma perché un territorio sia turisticamente rilevante occorre che sia vissuto e abitato, che i residenti possano raccontarne la storia, che la gente possa ritornarvi attraverso modalità diverse o attività lavorative da reinventare», aggiunge Bruno Bertero, direttore dell’Ente Turismo Langhe, Monferrato, Roero.
È questa l’istanza che la mostra intercetta pienamente, cesellandosi, paese per paese, tra le pieghe di una storia secolare, fatta di memorie quotidiane, ma anche di ambiziose visioni. «Chi viene da fuori dovrà capire le tue radici e tu dovrai capire le sue ragioni», questa frase, sintesi perfetta non solo della mostra ma dell’intero progetto nomade di Panorama, è un passo del libro «La Civil conversazione» di Stefano Guazzo, da cui Carlo Falciani ha tratto la sua idea curatoriale. Docente, esperto di manierismo toscano, storico dell’arte prestato al contemporaneo è lui l’autore dello straordinario lavoro di cucitura che ha legato le opere ai luoghi e gli artisti antichi a quelli contemporanei, cancellando ogni discrepanza in una sintonia tanto gentile quanto efficace. «Il testo da cui è partita la scintilla è un testo che avevo letto tanti anni fa, nato e ambientato in Monferrato, edito nel 1574 e diventato un bestseller europeo, un testo citato da Montaigne, importante per l’Inghilterra dei Tudor e per la Germania», spiega il curatore. Stampato in 43 edizioni fra il 1574 e la metà del Seicento, il libro narra la storia di un uomo chiuso in casa, «che non esce perché è ammalato di malinconia dopo una pandemia (come noi)», un amico medico lo va a trovare e inizia con lui un lungo dialogo con il quale gli spiega «che il singolo non cresce in solitudine, ma solo nella comunità e che la comunità vive e prospera solo se è capace di trovare un livello di “civil conversazione” che gli permette di dirimere i contrasti, di eliminare le fratture tra generazioni diverse, tra familiari, tra laici e religiosi, tra cittadini e forestieri», prosegue il curatore.
La mostra è un viaggio, come quelli rinascimentali, che si svolge per tappe, incontri e pensieri che uniscono arte antica, moderna e contemporanea introno a temi universali ancora oggi al centro del dibattito. A Camagna si parla di lavoro e di radici: quali sono le nostre radici, come si cercano e si mescolano. A Vignale di ritratto e identità: i ritratti hanno sempre rappresentato l’identità multipla delle persone. A Montemagno un tema trasversale all’antico e al contemporaneo: caducità e morte. E a Castagnole il viaggio si conclude con una riflessione sulla sacralità dell’arte principalmente laica. «Ogni sede ha dei linguaggi molto diversi, a Camagna in un ex orfanotrofio femminile ci sono delle opere ferrose, rugginose, aggressive, che mescolano radici agricole e industriali, come quelle di questo territorio (Binta Diaw, Arcangelo Sassolino, Salvatore Scarpitta, Giuseppe Uncini e altri ancora). A Vignale nel sontuoso Palazzo Callori si vedono invece ritratti sontuosi (Ottone Rosai, Alex Katz, Mirabello Cavalori, Susan Pilar...), l’identità è sempre stata rappresentata in una forma più ampia, è ciò attraverso cui diamo un’immagine di noi nella storia e nel futuro. A Montemagno in una sede più gotica o più barocca, a seconda di come la si guarda, monumentale e decadente allo stesso tempo, ci sono fiori seicenteschi, fiori che stanno appassendo, cieli che cadono, un canto in una chiesa in disfacimento (Francesco Vezzoli, Latifa Echakhch, Theaster Gates...). Nell’ultima sede, invece, le opere quasi non si vedono, si devono cercare, perché sono evanescenti e disperse o senza figurazione (Maria Elisabetta Novello, Alfredo Pirri, Atelier dell’Errore, Giò Pomodoro...). L’ultimo pezzo, di Luca Vitone, ci costringe a camminare su una luce per trovare, in fondo, l’odore dell’Eternit, un profumo che sacralizza una delle grandi tragedie contemporanee», che ha causato la morte di 392 persone negli stabilimenti di Casale Monferrato.
«Anche se durerà pochi giorni, Panorama non è un evento effimero, ma un catalizzatore di bellezza, passione ed energia, un faro capace di illuminare luoghi e persone con la propria luce e farli poi risplendere di luce propria», aggiunge Lorenzo Fiaschi, presidente e fondatore del consorzio Italics che a oggi conta 74 gallerie di arte antica, moderna e contemporanea. Un consorzio capace di raccontare la passione e il mecenatismo dei galleristi, che sono i primi sostenitori degli artisti, dell’arte di ieri, di oggi e di domani. «Mi chiedo sempre per quale motivo conserviamo per secoli un pezzo di tela con del colore sopra o anche senza colore sopra, perché gli riconosciamo un valore che va oltre il denaro: l’arte è sempre stata cara, ma attraverso essa si compra un pezzo di immortalità», conclude Falciani.
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