Giuseppe M. Della Fina
Leggi i suoi articoliUna lunga e sincera amicizia, rara nel mondo accademico, ha legato Piero Orlandini (Roma, 1923-Milano, 2010) a Dinu Adamesteanu. Si erano incontrati a Gela nel settembre del 1952 quando il primo, poco meno che trentenne, appena vinto il concorso di ispettore archeologo, aveva preso servizio presso la Soprintendenza alle Antichità di Agrigento.
Adamesteanu lo ricorda così in quei giorni, nel libro intervista Dal Mar Nero allo Jonio (Edizioni della Cometa, Roma 1994): «Con il suo famoso papillon pareva invitato a un matrimonio e non a quel cantiere in cui doveva entrare presto», con gli operai meravigliati dalla sua eleganza. Del collega più giovane, Adamesteanu rammenta che aveva raggiunto la Sicilia chiamato dal soprintendente del tempo Pietro Griffo e «dal buon maestro dell’Università di Roma, Biagio Pace». I cui insegnamenti si possono ritrovare nei suoi scritti e nelle successive scelte di vita culturale.
Poco più di vent’anni dopo, nel 1974, collaborarono di nuovo: Adamesteanu, divenuto nel frattempo soprintendente alle Antichità della Basilicata, affidò a Orlandini, diventato professore ordinario di Archeologia e storia dell’arte greca e romana presso l’Università degli Studi di Milano, la responsabilità delle campagne di scavo all’Incoronata di Metaponto che si rivelarono d’importanza notevolissima.
Piero Orlandini era nato a Roma nell’ottobre del 1923 e negli anni universitari fu allievo di Giulio Quirino Giglioli, con il quale si laureò in Archeologia e storia dell’arte greca e romana. Successivamente conseguì il diploma di specializzazione e la libera docenza sempre presso l’Università «La Sapienza» di Roma. In quegli anni ebbe l’occasione di frequentare Giovanni Becatti, Margherita Guarducci, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Laura Breglia, Massimo Pallottino e della sua generazione, seppure più giovani di qualche anno, Paola Pelagatti e Antonio Giuliano, un altro archeologo e storico dell’arte antica a cui piaceva indossare il papillon.
Quindi, come si è ricordato, entrò negli organici delle Soprintendenze e raggiunse la Sicilia. Alla fine degli anni Sessanta era divenuto soprintendente archeologo della Sicilia centro-meridionale portando avanti un’attività intensa e ricca di risultati. Nel 1970 arrivò la nomina a socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei; di lì a poco giunse a ricoprire la carica di Ispettore centrale presso l’allora Direzione Generale di Antichità e Belle Arti all’interno del Ministero della Pubblica Istruzione. Il Ministero dei Beni Culturali (oggi della Cultura) doveva ancora essere istituito: lo sarà nel 1975 per volontà di Giovanni Spadolini.
Nel 1972, Orlandini era passato al mondo universitario insegnando nell’ateneo milanese sino al 1993. La sua scomparsa è avvenuta nel 2010.
I suoi interessi scientifici si sono concentrati sulle problematiche artistiche greche relative allo stile severo e classico, sulla colonizzazione greca d’Occidente e sul rapporto tra le genti indigene e i coloni alla luce anche dei risultati delle campagne di scavo portate avanti. Tra le numerose pubblicazioni vanno ricordati almeno il saggio dedicato alle arti figurative nel volume Megale Hellas, edito nell’ambito della collana «Antica Madre» diretta da Giovanni Pugliese Carratelli, e la serie di pubblicazioni dedicate alla presentazione e all’interpretazione dei risultati degli scavi all’Incoronata di Metaponto.
In chiusura si può richiamare una considerazione che Maria Bonghi Jovino, sua collega negli anni d’insegnamento, ha espresso nella rivista «Studi Etruschi» (74, 2011). Orlandini s’inserisce a pieno titolo: «in quel novero di studiosi che hanno saputo ben coniugare gli studi filologici e l’attività sul campo con larghezza di intenti e profondità di analisi».
Altri articoli dell'autore
Nonostante le nuove testimonianze di epoca preromana, la regione rimane divisa tra due ipotesi, entrambe storicamente supportate
Il Mart di Rovereto propone un suggestivo raffronto tra opere antiche e dipinti, sculture e ceramiche da Campigli a Picasso, da Schifano a Giacometti, da Arturo Martini a Gio Ponti
Nuovi ritrovamenti emergono dal sito termale etrusco-romano che due anni fa ha restituito l’eccezionale deposito votivo dei 24 bronzi nella vasca del Santuario del Bagno Grande
Recuperati dai Carabinieri del Nucleo Tpc a Città della Pieve due sarcofagi, otto urne e oltre 50 reperti appartenenti alla tomba della celebre gens etrusca