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Il Castello di Ancaiano in Valnerina, Spoleto (Pg)

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Il Castello di Ancaiano in Valnerina, Spoleto (Pg)

In Umbria chiedono più viaggiatori e meno turisti

È il modello avanzato umbro: «Valorizzare i centri storici, rispettare paesaggio e natura e relazioni con e fra gli ospiti», spiega Vittoria Garibaldi, già soprintendente e studiosa appassionata, che ci accompagna in una visita minuziosa

Stefano Miliani

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«L’Umbria è una scoperta meravigliosa e per ora il pericolo del turismo mordi e fuggi sembra lontano, ma bisogna fare attenzione». Lo constata la storica dell’arte Vittoria Garibaldi: romana di nascita, umbra d’adozione, alla cultura del territorio ha dedicato e dedica la propria vita. Già soprintendente dell’Umbria dal 2002 al 2006 e dal 2008 al 2011, ha diretto la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia dal 1988 al 2011, in regione ha curato o cocurato mostre su Benedetto Bonfigli, Pintoricchio, Perugino, Piero della Francesca, Benozzo Gozzoli,il fotografo Steve McCurry e molti altri, ha scritto innumerevoli saggi su Medioevo e Rinascimento, ha pubblicato libri sulle conseguenze dei terremoti del 1979, del 1997 e del 2016. Nata nel 1950, entrata proprio in Umbria, nel 1981, nell’allora Ministero per i Beni e le Attività culturali (ora della Cultura) e oggi in pensione, la studiosa è attiva e brillante. Dal 2005 dirige il Laboratorio di diagnostica per i beni culturali di Spoleto.

Oltre a Giotto e agli altri maestri nella Basilica di San Francesco ad Assisi, quali considera le tappe che chi viene in Umbria non può perdere?
È necessario tenere presente che nei secoli l’Umbria non è stata mai culturalmente omogenea. Anche se sottoposta fin dagli esordi al potere dello Stato Pontificio, i Comuni e poi le Signorie hanno creato diversi ambiti culturali, favoriti dall’orografia del territorio, diviso in due dalla sequenza delle valli del fiume Tevere, e diviso ulteriormente dalle catene montuose dell’Appennino. Le tappe possono essere scelte solo in funzione delle aree geografiche. A Orvieto, oltre alla Cappella di San Brizio nella Cattedrale e al monumento del cardinale de Bray di Arnolfo di Cambio a San Domenico, propongo quei luoghi dov’è conservata la scuola pittorica orvietana del ’300, il Museo dell’Opera del Duomo e la Chiesa di San Giovenale. Nella zona del lago Trasimeno consiglierei di seguire Perugino che, nell’ultima fase della sua carriera, dipinse opere ad affresco disseminate in quei luoghi dove il paesaggio del lago entra direttamente nell’immaginario nei suoi dipinti. Nell’alto Tevere seguirei le orme di Luca Signorelli in piccoli borghi come l’Oratorio di San Crescentino a Morra, per entrare poi nei palazzi dei Vitelli a Città di Castello con il giovanile Stendardo di Raffaello. Una tappa obbligata è, a Perugia, la Galleria Nazionale dell’Umbria per ammirare la «Pala Guidalotti» di Piero della Francesca (ovviamente senza tralasciare il resto), per poi andare a Gubbio e dedicarsi ai dipinti murali di Ottaviano Nelli, interprete della pittura tardo gotica che approfondirei poi sulle pareti di Palazzo Trinci a Foligno per cogliere l’essenza del Gotico internazionale del Centro Italia. A Spoleto è più che doveroso un salto alla maestosa Rocca Albornoz, ma varcherei anche la porta del Museo Diocesano dove sono conservate le opere dei maestri del Trecento per visitare poi nella Valnerina le chiese da cui provengono. Chiuderei il giro a Terni, nel migliore dei modi, nella Chiesa di San Francesco dove si trova la Cappella Paradisi con lo splendido Giudizio Universale di Bartolomeo di Tommaso, e in Cattedrale ancora con un trasgressivo Giudizio Universale di Ricardo Cinalli che lascerà a bocca aperta.

Anche dal passato remoto la regione può vantare luoghi di grande rilievo: quale peso hanno i segni delle civiltà etrusca e romana nella percezione odierna? 
L’interesse per la civiltà etrusca e il mondo romano in questi ultimi anni è molto cresciuto. Ma si è manifestato anche per la civiltà longobarda che qui in Umbria conserva molte testimonianze, come la Basilica di San Salvatore a Spoleto, il Tempietto del Clitunno a Campello sul Clitunno, i reperti delle necropoli esposti nel Museo nazionale del Ducato di Spoleto o nella raccolta museale di Trevi o di Nocera Umbra. Interesse promosso dal riconoscimento di tali testimonianze come Patrimonio Mondiale dell’Unesco e dal loro inserimento nel sito seriale «I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)».

Cresce anche l’interesse per l’arte moderna e contemporanea.
Direi che è decisamente esploso. Esempio è il successo del nuovo allestimento degli Ex Seccatoi del tabacco a Città di Castello con le opere di Alberto Burri che oggi si possono vedere con una luce decisamente adeguata. Una cattedrale dell’arte contemporanea che si accompagna all’altro spazio «sacro» della Chiesa dell’Annunziata a Foligno, con l’esposizione della «Calamita Cosmica» di Gino De Dominicis. Luoghi ammirati da migliaia di visitatori che ritroviamo poi affollare Palazzo Collicola a Spoleto. Il museo ospita una splendida collezione di opere di Leoncillo, Calder, Sol LeWitt presente per lungo tempo nella città dove Giovanni Carandente, altro illustre «spoletino», nel 1962 realizzò la mostra a cielo aperto «Sculture in città» che ebbe una vasta eco in tutto il mondo. Abbiamo artisti che hanno amato l’Umbria, ci vivono e ci hanno vissuto, lasciando qui le loro opere come Beverly Pepper nel parco a lei dedicato a Todi, o Giuseppe Uncini in quello della sua villa a Trevi. Da non perdere le sei lavagne di Joseph Beuys al Museo della Penna su cui l’artista tedesco, proprio a Perugia, disegnò la sua visione utopistica della società in nuovo concetto dell’arte.

Chi e che cosa meriterebbe una maggiore considerazione?
Recentemente alcune mostre a Gubbio, Montefalco, Trevi, Spoleto hanno rivalutato un periodo storico ricco di fermenti, collocabile nei primi decenni del Trecento. Mi riferisco a «Capolavori del Trecento» e a «Gubbio al tempo di Giotto», che hanno evidenziato l’importanza delle opere lignee policrome e tavole dipinte dei primi anni di quel secolo. È un panorama artistico assai poco conosciuto che si è rivelato ricco di sorprese, come la figura del pittore/scultore, l’uso dei tabernacoli dipinti contenenti una scultura sacra, portati nei percorsi di transumanza, per non parlare della carica espressiva delle numerosissime crocifissioni ad affresco, tutto ruotante intorno ad anonimi maestri tra Umbria, Marche e Abruzzo.

Qual è il bene artistico del suo cuore?
Confesso che per me l’Umbria è una scoperta meravigliosa che dura tuttora: va goduta tutta, nei posti più noti e in quelli più silenziosi e lontani, è così piena di sorprese. Ma chiudo gli occhi e ritorno a Citerna in un pomeriggio piovigginoso di qualche tempo fa. Cerco la Madonna attribuita a Donatello di cui ho sentito parlare. Un giovane mi schiude una porta e lo sguardo del Bimbo che la Madonna ha in braccio mi coglie all’improvviso. Non sorride, non sgambetta, non gioca con un cardellino, non benedice. Quel Bimbo ha paura. La bocca è socchiusa nella domanda che non può fare. Si stringe forte alla mamma che, sbilanciata dal suo peso e dal suo gesto, arretra leggermente con il busto, quasi si appiattisce. Le sue grandi mani lo sostengono, ma non lo trattengono. Giovanissima, il suo sguardo profondo, doloroso, consapevole si perde nei confini del piccolo spazio. Mi accorgo che è bellissima, non la posso dimenticare più. Tornando con i piedi a Perugia, nel duecentesco Palazzo dei Priori, ha sede la Galleria Nazionale, luogo magico che unisce il passato al presente in una carrellata da Arnolfo di Cambio a Duccio di Buoninsegna, da Beato Angelico a Piero della Francesca, da Perugino a Burri. Vi ho trascorso vent’anni della mia vita, meravigliosi. Un altro luogo del cuore? Il Polo culturale di Trevi, appena aperto, dove nel bellissimo complesso di San Francesco sono in sinergia archivio, biblioteca e museo, spazi per bambini e studiosi.

E il paesaggio a lei più caro?
Tutta la Valnerina fino al Monte Vettore e la piana di Castelluccio sopra Norcia, quando nevica e tutto è bianco, in autunno quando i colori sono il rosso, l’arancio, il giallo e a ogni angolo ecco comparire una chiesetta, un piccolo borgo, una torre d’avvistamento.

Da san Francesco a un pensatore della non violenza come Aldo Capitini nel ’900, l’Umbria ha dato i natali a figure uniche di un pensiero fondato sulla pace. Quanto sono presenti i loro messaggi nell’arte in Umbria?
Il messaggio di pace di san Francesco è da sempre dentro la gente che vive nella «Jucunda» valle. I dolci e curvilinei paesaggi, le luci morbide, gli aerei spazi e la vicina presenza di una natura generosa e meravigliosamente mutevole aiutano a vivere nella serenità e non stupisce quindi la presenza di tanti uomini che hanno dedicato il loro pensiero a sostenere la pace e che ancora oggi dagli eremi pregano o dalle piazze lanciano appelli a vivere nella pace. Dai monti di Campello sul Clitunno sorella Maria aveva rapporti epistolari con Mahatma Gandhi, dalle colline di Spello Carlo Carretto invitava i potenti alla pace. Il messaggio francescano qui non è mai stato dimenticato. Così nell’arte.

Come si configura il turismo culturale? A un primo sguardo non sembra soffrire dei mali del turismo mordi e fuggi di città come Venezia o Firenze, o di paesi come San Gimignano. 
Negli anni passati l’unica città in grado di ricevere turisti era Assisi. Il turista religioso veniva in pellegrinaggio alla Basilica del Santo, era accolto nella giornata, e poi partiva. Il direttore dell’Apt (Azienda di Promozione Turistica) di Assisi si disperava perché quei pellegrini non erano assolutamente interessati a visitare la città. Quel turismo mordi e fuggi caratterizza ancora in parte Assisi ma oggi i turisti si riversano anche nelle vie per visitare i numerosi monumenti. Grazie a una politica di valorizzazione dei numerosi centri storici della regione si ha una diffusione nel territorio di sempre più viaggiatori e meno turisti. Sta prendendo piede una forma nuova di turismo, lento, un approccio a piedi o in bicicletta. In questa ottica la presenza di un buon numero di agriturismi favorisce il rapporto di vicinanza con il paesaggio e la natura e di interrelazione fra gli ospiti e chi accoglie. Per ora il pericolo del turismo mordi e fuggi sembra lontano, ma bisogna fare attenzione.

È possibile salvare i piccoli paesi dallo spopolamento, soprattutto pensando alle zone terremotate tra Valnerina (su cui lei nel 2018 ha pubblicato il libro «Patrimonio ferito») e Monti Sibillini? 
È difficile rispondere. Le cosiddette «Aree interne», non solo quelle colpite dal terremoto, soffrono una crisi che parte da lontano, con i cambiamenti dei rapporti economici fra pianura e montagna. È necessario invertire la rotta. L’uso dei terreni agricoli, dei pascoli, dei boschi delle nostre montagne è indispensabile per mantenere l’ecosistema, per regimentare le acque, per conservare la biodiversità, per produrre energia sostenibile, ed è necessario introdurre forme di economia compatibile con l’ambiente. Solo così, insieme a sistemi di comunicazione e di offerta anche sanitaria, potremo far tornare a vivere i nostri borghi.

A proposito del sisma del 2016: moltissime chiese nella zona del cratere, che copre anche Marche, Lazio e Abruzzo, sono tuttora inagibili o passerà molto tempo prima che vengano ricostruite. Quale «politica culturale» adottare con le opere d’arte recuperate, che in quei centri erano riferimenti della comunità? 
Lo spopolamento dei piccoli paesi di montagna che a volte conservano al loro interno diverse chiese, prima del terremoto ricche e abbondanti di arredi e di manufatti di epoche diverse e opera di validi artisti, non permette francamente di ricollocare quelle opere al loro posto. Inoltre le sculture lignee di Cristo in croce, le tele commissionate ad artisti romani o toscani, le immagini dei santi protettori dipinte sui muri erano espressione della devozione di quella popolazione che le conservava e proteggeva perché appartenevano alla comunità. Il senso della presenza lì di queste opere da un punto di vista di fede purtroppo si è ormai affievolito, anche se rimane la speranza che possa tornare a vivere. Riportare oggi le opere in quei luoghi di origine privi di vita sarebbe un’operazione, nella maggioranza dei casi, meramente museale. Operazione da valutare attentamente, da condividere con tutti i protagonisti e da pianificare anche da un punto di vista economico-gestionale per restituire a una vasta platea un patrimonio oggi protetto nei depositi.
 

Stefano Miliani, 10 maggio 2023 | © Riproduzione riservata

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