Flaminio Gualdoni
Leggi i suoi articoliE così, adesso ci tocca occuparci del Berlusconi collezionista d’arte: si parla di un magazzino di grandi dimensioni in cui sono stivati circa 25mila dipinti, frutto della passione per lo più senile dell’insonne Cavaliere. Una passione non per l’arte però, bensì per le televendite, in cui dar sfogo con ludopatico furore alla noia notturna: solo che, ragionano gli eredi, mantenere questo luogo alla fine costa molto, qualcosa come 800mila euro l’anno, per tener vivo qualcosa che suona a ludibrio postumo dell’altrimenti beatificato Patriarca.
Ludibrio, perché Berlusconi le opere le comprava ma, a differenza del cugino Pons di Balzac, che aveva trasformato la sua casa in un bric-à-brac in cui però brillavano anche alcune perle, a lui bastava acquistarle e dirsi di possederle, ma tenendole lontano dagli occhi. Mica se le metteva in casa, quelle robe: dovevano solo essere in grande quantità per confermargli di essere il più ricco di tutti, per farne una star di quel piccolo mondo notturno, per ottenere altre leccate di deretano senza troppo sforzo.
Erano i classici dipinti generici e vuoti, paesaggi e vedute, nudi femminili, madonne con annessi e connessi. Di gusto facile tendenza miserabile, quello che Zola avrebbe definito un «modo banale e grazioso che accontenta tutti» senza neppure l’artigianalità a salvaguardare le apparenze. A Berlusconi non importava nulla dell’arte, al suo animo piccolo borghese interessava la facilità immediata del gradimento che suscitava, e lo scatenarsi delle fantasie intorno all’imperscrutabilità del prezzo: ciò che parla «alla pancia del Paese», dicono quelli che sanno, e di cui egli era il sommo sacerdote.
Solo che, finito il chiacchiericcio intorno alle manie notturne di Silvio, resta un magazzino pieno di cose che gli eredi hanno accertato di scarsissimo valore economico, ma che costa un botto mantenere. Pragmaticamente, stanno decidendo di smobilitare, sanando non tanto una difformità pratica, quanto e più una difformità d’immagine: poteva l’uomo che stipendiava Van Basten e Maurizio Costanzo, per dire, farsi abbindolare da degli imbonitori di paese? Non sia mai. Meglio trattare l’affaire proprio come una ludopatia, un obnubilamento della ragione che non colpisce solo giovani calciatori viziati ma anche un anziano che, finita l’epoca dei nudi femminili in carne e ossa, doveva farsi bastare questi mediocrissimi succedanei. «Sic transit gloria mundi», è proprio il caso di dire.
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