Arianna Antoniutti
Leggi i suoi articoliCome anticipato da Massimo Osanna, per altri tre anni direttore generale musei del MiC, sul numero dello scorso ottobre del Giornale dell’Arte, il Ministero della Cultura avrà a breve un nuovo assetto. «Un grande tema, annunciava, su cui si è anche molto dibattuto, è il futuro passaggio da un Ministero, la cui figura apicale è il segretario generale, a un Ministero che non avrà il segretario generale ma quattro capi Dipartimento». Ora, dopo l’approvazione il 27 novembre, in esame preliminare, del regolamento di riorganizzazione da parte del Consiglio dei ministri, il prossimo passo sarà il decreto del presidente del Consiglio, che renderà effettiva la nuova organizzazione.
Come si legge nel comunicato stampa dello stesso Consiglio dei ministri, diramato il 27 novembre, «la riorganizzazione delle strutture centrali e periferiche persegue la finalità di rafforzare le funzioni di tutela affidate al Ministero, attraverso l’inserimento nell’ambito del Dipartimento che curerà la “tutela” dei beni culturali e paesaggistici (DiT) di alcuni istituti dotati di autonomia speciale. Inoltre, si rilanciano le funzioni di “valorizzazione”, anche economica, del patrimonio culturale, attraverso l’istituzione di un dipartimento (DiVa) dedicato all’aumento della fruizione del patrimonio culturale da parte del pubblico».
La novità principale contenuta nel regolamento è appunto l’articolazione del Ministero in quattro Dipartimenti: Dipartimento per l’amministrazione generale (DiAG), per la tutela del patrimonio culturale (DiT), per la valorizzazione del patrimonio culturale (DiVa) e per le attività culturali (DiAC). Ci saranno inoltre 13 uffici dirigenziali di livello generale centrali e 15 uffici dirigenziali di livello generale periferici dotati di autonomia speciale, oltre che negli uffici di diretta collaborazione del Ministro.
Prorogato a partire dal primo settembre allo scadere del triennio 2020-23, Massimo Osanna sarà, per altri tre anni, a capo della Direzione Generale Musei. È un forte segno di continuità all’interno del Ministero della Cultura e vedrà l’archeologo ancora alla guida della Direzione Generale che annovera, fra le sue funzioni, il coordinamento dei musei statali italiani e la valorizzazione del patrimonio culturale statale. Professore ordinario di Archeologia classica all’Università degli Studi Federico II di Napoli, Osanna (nato a Venosa nel 1963) ha all’attivo numerose pubblicazioni scientifiche sull’archeologia della Grecia e dell’Italia antica. Fra il 2014 e il 2019 ha diretto la Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia e, dal 2019, ha guidato il Parco Archeologico di Pompei, conducendo importanti campagne di scavo nella Regio V e coordinando la messa in sicurezza dell’intera città nell’ambito del Grande Progetto Pompei.
Incontrandolo a Roma, nel suo ufficio di San Michele a Ripa Grande nel complesso monumentale sede degli uffici del Mic, oltre che della futura riforma del MiC, abbiamo parlato dell’App Musei Italiani, della creazione del Sistema museale nazionale (Smn), e della necessità di ridefinire il museo come organismo in grado di riflettere l’evoluzione della società.
Quando entrerà in vigore la riforma?
I tempi sono quelli richiesti dall’iter della politica, ma credo che per gennaio si potrà partire con il nuovo assetto. Si passerà da un Ministero la cui figura apicale è oggi il segretario generale, a un Ministero che non avrà il segretario generale, ma quattro capi Dipartimento. Ossia, in base alle varie anime del Ministero, avremo un capo Dipartimento da cui dipenderanno i direttori generali.
Molta attesa c’è anche per l’esito del bando internazionale per i nuovi tredici direttori dei musei, tra cui Mann di Napoli, Uffizi di Firenze, Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma.
La commissione sta lavorando alacremente per rispettare i termini. I musei sono numerosi e anche di grande rilievo nazionale. Spero che per novembre siano chiusi i lavori, in modo che il ministro, per quanto riguarda i musei di I fascia, ed io, per la II, possiamo arrivare a designare i direttori, molti dei quali sono in scadenza proprio fra ottobre e novembre. Immagino che alcuni dei direttori che lasciano le loro sedi si siano ricandidati, e quindi, probabilmente, avranno delle chance per i musei ora a bando.
L’autonomia dei musei, contenuta nella riforma Franceschini del 2014, è un determinante impulso alla loro attività. A distanza di quasi dieci anni se ne colgono ancora i frutti, tanto che, nella nuova riforma voluta dal ministro Sangiuliano, i musei autonomi passeranno da 44 a 60.
Il ministro Sangiuliano ha più volte ribadito come questo aspetto della riforma Franceschini sia stato da lui sposato in maniera assai convinta. Sancire l'autonomia, scientifica, amministrativa, tecnica, ha trasformato in positivo tutta una serie di realtà. In concreto, questo ha rappresentato non solo un aumento generalizzato di visitatori (alcuni siti, pensiamo a Paestum, hanno raddoppiato le cifre) ma ha significato soprattutto un nuovo rapporto con il territorio, facendo anche nascere una sana competizione fra i musei. È stata sicuramente una rivoluzione copernicana.
Ora, oltre ai 16 istituti autonomi che si creeranno, non dimentichiamo che nasceranno anche nuovi musei, come quello dei bronzi di San Casciano, al quale stiamo lavorando. Parallelamente il nostro impegno è anche a Veroli, dove sorgerà il Museo degli antichi popoli italici. Qui, in un bel palazzo tardo settecentesco, il Comune ci ha chiesto di lavorare insieme. Con i colleghi della Direzione generale Archeologia belle Arti e paesaggio del Mic, e con il loro direttore generale Eugenio La Rocca, stiamo elaborando un progetto sui popoli italici, con particolare riferimento al Centro Italia, dagli Ernici ai Volsci, per capire chi erano queste popolazioni che hanno preceduto i romani e che sono così importanti anche per la nostra storia. Altro effetto della riforma sarà il passaggio del Complesso monumentale dei Girolamini dalla competenza della Direzione generale biblioteche alla Direzione Generale Musei. Questo consentirà l’apertura al pubblico di tutto lo spettacolare monumento, dalla chiesa al suo chiostro.
L’App Musei Italiani è stata lanciata in luglio, è in fase di implementazione, e al suo interno, al momento, racchiude 130 musei statali italiani, dei quali consente l’acquisto dei biglietti d’ingresso. Ce ne può parlare?
È uno strumento di cui si sentiva l’esigenza. Oltre a segnalare all’utente musei da scoprire e i «Musei vicino a te», grazie alla georeferenziazione, permette di acquistare i biglietti online. Questo è possibile non solo per i musei già in possesso di un loro concessionario di vendita, al cui sito l’App rimanda, ma anche per quei musei sprovvisti di concessionario e che, in alcuni casi, offrono la sola possibilità dell’acquisto di biglietti, in loco e in contanti. Un tale scenario potrebbe sembrare, nel 2023, un fenomeno residuale e invece purtroppo non è così. Al di fuori del circuito dei grandi attrattori esistono ancora moltissimi musei che non hanno neppure il Pos, una situazione anacronistica che necessitava di un provvedimento. Grazie ai fondi del Pnrr siamo riusciti a realizzare l’App, in cui, nei prossimi mesi, saranno disponibili altri 100 musei. L’obiettivo è di riuscire ad accogliere tutti i 482 musei statali. Il progetto, però, è molto più ampio e prende le mosse dalla piattaforma del Sistema Museale Nazionale, anch’essa frutto del Pnrr, che sarà a breve rilasciata.
La piattaforma del Sistema Museale Nazionale (Smn) compare ufficialmente nella normativa nel 2014, con la riforma Franceschini. Per la prima volta viene data la definizione del Smn, inteso come un sistema onnicomprensivo in cui, nell’accezione molto più ampia del termine museo, si comprendono anche le aree archeologiche, i complessi monumentali, le chiese, eccetera. Inoltre, sin dal nascere del Smn, l’obiettivo è quello di racchiudere tutti i musei italiani (il cui numero complessivo è di circa 4.500), sia gli statali sia i non statali. La richiesta di adesione al Smn, da parte dei musei non statali, è volontaria e subordinata al raggiungimento di standard minimi di qualità, individuati dal Dm 113 del 2018 anche in esito al lavoro congiunto di Ministero, Regioni, Icom ed esperti del settore. Il processo di accreditamento dei musei non statali viene gestito dalle Regioni. Ad oggi hanno aderito al Smn 782 musei, fra statali e non statali (tra cui troviamo musei civici, privati, diocesani...). La piattaforma del Smn è al momento accessibile solo agli addetti ai lavori, ma è atteso a breve il rilascio pubblico.
Con l’App non vogliamo fermarci ai soli musei statali. Una volta accreditati nel Smn anche i musei non statali, essi entreranno nell’App, in cui sono disponibili news in continuo aggiornamento, mostre, attività: vetrine che permettono di conoscere quanto è diffuso il nostro patrimonio. Altro tema importante che stiamo implementando, è l’accessibilità, con le segnalazioni utili ai diversamente abili per poter accedere ai musei. Presto saranno disponibili anche video in lingua dei segni Lis. Avere un luogo virtuale in cui sono rappresentati tutti i musei del sistema nazionale è un segnale forte. Il digitale non è alternativo al reale, al contrario può avere valenza introduttiva. Va adoperato per avvicinare e anche educare all'importanza del contatto con i nostri beni culturali. La materialità dell’oggetto è fondativa perché le opere comunicano messaggi e sedimentano memorie.
La creazione dell’App è stata anche un’occasione di revisione dello stato dei musei in Italia?
Sicuramente. Stiamo lavorando, ad esempio, per rendere l’offerta dei luoghi della cultura più omogenea anche dal punto di vista del ticketing. Ci sono musei in cui il biglietto costa 1 euro, ossia meno del biglietto ridotto per giovani dai 18 a 25 anni. Sono residui del passato che vanno sanati. Rendere omogeneo il tariffario non vuol dire che tutti i musei debbano costare quanto gli Uffizi, ma, in base ai territori, e in base all’offerta, è necessario avere una più coerente proporzionalità. Questo per me è di vitale importanza perché, ora, gran parte del sistema museale si avvale delle risorse che ci arrivano dai grandi attrattori, quali Pompei, Colosseo, Reggia di Caserta, Uffizi che, come tutti gli altri musei, danno il 20% degli incassi alla Direzione generale. Maggiori entrate da parte di tutti i musei, vuol dire avere maggiori risorse per tutti.
Non sono favorevole alla gratuità dei musei, sono però favorevole a politiche che permettano a tutti, anche ai meno abbienti, di accedervi. Innanzitutto le tariffe devono essere adeguate ai territori, ma soprattutto ci devono essere molte possibilità di riduzione, fino a 18 anni sono gratuiti, dai 18 a 25 anni il costo è di 2 euro, per tutte le altre categorie dobbiamo puntare sugli abbonamenti. Un abbonamento annuale, a prezzo molto contenuto, magari al costo di due soli biglietti, permetterebbe la fidelizzazione, consentendo alle persone che vivono nel territorio di riappropriarsi dei propri beni culturali. Proietterei questo discorso, poi, anche su scala nazionale, con una card che consenta l’ingresso nei musei dell’intera penisola. Ciò che deve cambiare è l’approccio al museo, esso non può più essere il luogo in cui si entra una sola volta. Al museo si deve tornare e ritornare.
Come ottenere questo? Innanzitutto offrendo sempre nuove visioni, con una proposta continuamente diversificata. Le collezioni museali non possono più essere e dirsi statiche. Non è pensabile mantenere per cinquant’anni lo stesso allestimento, gli allestimenti devono essere fluidi, riflettere l’evoluzione della società, la richiesta dei pubblici, ed essere sempre più aperti al territorio e agli interrogativi di chi li frequenta. Privilegerei sempre più allestimenti temporanei e meno permanenti. Ovviamente laddove, nel caso di istituzioni come gli Uffizi, non è pensabile apportare cambiamenti, si possono immaginare diverse forme di attività: laboratoriali, per i bambini, e anche fusione con altre forme d’arte, dalla danza alla musica. C’è poi il grande tema delle attività didattiche: le scuole devono entrare nei musei, le sale espositive devono diventare aule.
Il ministro Sangiuliano è pienamente d’accordo, dobbiamo stipulare un’intesa con il Ministero dell’Istruzione per fare in modo che grande parte delle attività legate, ad esempio, alla storia dell’arte e all’archeologia, si svolgano in situ, nei musei, in un rapporto stimolante, dinamico, diretto con le antichità e con le opere. I musei devono essere sempre più organismi dinamici, come stanno positivamente dimostrando alcuni casi, forse poco noti. Il romano Museo delle Civiltà all’Eur sta conoscendo, ad esempio, un rigoglio incredibile. Grazie al direttore Andrea Viliani, è diventato una realtà davvero contemporanea. Questo non vuol dire che espone arte contemporanea, ma che è adeguato e pienamente rispondente alla società del nostro presente. Viliani sta lavorando a nuovi allestimenti come quello dell’ex Museo coloniale, un soggetto talmente delicato che, finora, era conservato in deposito. Ora il suo contenuto è visibile, presentato in maniera del tutto nuova e in chiave critica, chiarendo l’origine degli oggetti, la memoria di quel passato, e coinvolgendo anche le comunità che discendono dalle popolazioni colonizzate.
Altro esempio viene dal Parco di Sibari. Appena due anni e mezzo fa, nel momento in cui si insediava il nuovo direttore Filippo Demma, il Parco era segnato dal degrado. Ora il museo è un luogo dinamico, molto frequentato dai giovani. Nei laboratori si tengono corsi di formazione per i detenuti delle vicine carceri. Ho incontrato alcuni di loro, mi hanno ringraziato per quello che facciamo. È commovente vedere che, realmente, i musei possono diventare non solo luoghi di rigenerazione urbana, ma anche spazi in cui offrire possibilità di riscatto.
I recenti eventi del British Museum hanno messo in luce la fragilità dei depositi museali. Che cosa ne pensa?
Sono pienamente consapevole del fatto che uno dei punti critici del nostro sistema sia proprio quello dei depositi, interessati da situazioni molto disomogenee. Il British ha sollevato il coperchio del vaso di Pandora. In questi tre anni ho visitato quasi tutti i depositi dei musei statali italiani, almeno 400. Alcuni istituti sono arretrati nell’aspetto della conservazione delle opere. Proprio per questo ho voluto che molte risorse del Pnrr fossero destinate all’attività dei depositi, in primis alla loro digitalizzazione. Molti dei reperti trafugati dal British non erano inventariati, per cui è necessario condurre attente campagne di conoscenza, oltre, ovviamente, a implementare tutti i sistemi di sicurezza. Questo lo stiamo facendo anche con il Programma Operativo Nazionale (Pon) Legalità, un finanziamento che viene dal Ministero degli Interni.
Non dimentichiamo però che nei depositi c’è anche tanto da scoprire. Con «Il racconto della bellezza», un’iniziativa cofinanziata con il Ministero degli Esteri, vogliamo far conoscere la ricchezza del patrimonio artistico italiano. Il progetto si compone di mostre che saranno diffuse in buona parte nei principali istituti di cultura italiani nel mondo. Abbiamo cominciato con il presepe del Museo delle Civiltà, portato a Praga lo scorso anno. Adesso è in corso una bellissima mostra sull’archeologia pugliese, in particolare su Canosa, che si è svolta prima a Santiago del Cile e che ora andrà a Buenos Aires, poi a San Paolo del Brasile e infine a Città del Messico.
Parallelamente si partirà anche in Europa, con la presentazione, sempre in istituti di cultura, di una mostra sull’archeologia della Basilicata, con molti materiali provenienti da Policoro, come gli abiti cerimoniali di donne italiche del VII secolo, rivestiti in bronzo, ambra e argento. Abbiamo voluto promuovere siti poco noti all'estero, per cercare di non favorire i soliti grandi attrattori. Dobbiamo ricordare che il nostro patrimonio è molto più diffuso e distribuito, ci sono incredibili capolavori anche nei musei più piccoli.
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