È un dialogo mancato, la causa della querelle su Palazzo Citterio tra la Pinacoteca di Brera (che fa capo al Mibac) e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Milano, ufficio dello stesso Mibac? Ecco l’opinione della soprintendente Antonella Ranaldi.
Il direttore di Brera, James Bradburne, ha dichiarato di aver dovuto accettare il palazzo senza aver potuto verificare nulla. Com’è potuto accadere? Non c’erano stati contatti fra di voi durante i lavori di restauro?
Pochi mesi dopo il suo arrivo a Milano, a fine 2015, il direttore è venuto in cantiere su mio invito (i lavori erano iniziati a maggio) e, lui personalmente o i suoi architetti, hanno seguito il cantiere in ogni scelta di restauro: dai colori alle finiture, è stato tutto sottoposto e concordato. Ed è stato sollecitato il progetto espositivo, che già la precedente direzione di Brera aveva formulato in parallelo al progetto di recupero. La parte tecnologica, come illuminazione, apparecchi e vari dispositivi, è stata demandata ai tecnici di Brera, in quanto destinatari. È vero, il direttore ha criticato il montacarichi e la nuova scala, unico inserimento attuale, che sostituisce la precedente degli anni ’70, in cemento armato, angusta e fuori norma, ma nonostante sia stato sollecitato, non ha poi voluto chiedere formalmente le varianti al progetto. In un appalto pubblico le varianti devono essere formalizzate e motivate. Senza dimenticare che il direttore ha avanzato altre richieste, accolte e realizzate, che hanno comportato una forte riduzione delle superfici destinate alle opere: all’ultimo piano, gli ambienti verso giardino avevano da progetto setti trasversali per l’esposizione delle opere, che sono stati assai ridotti, sacrificando superfici espositive. Di ciò mi rammarico molto, vedendo il risultato poco felice. Pensando a tutte le forze messe in campo, finanziarie e professionali, dai maggiori esperti del restauro, agli impiantisti e strutturisti, le obiezioni apodittiche su «restauri sbagliati» o «è tutto da rifare» offendono e sono frutto di personali giudizi. Il palazzo e il museo attendono da più di 40 anni di essere aperti, a causa dei reiterati cambi di marcia. E ora si ripropone lo spettro di una storia infinita.
I precedenti interventi, costati 9,9 milioni di euro, sono stati pagati interamente dal Mibac?
Sì, certo. Il Segretariato, e prima ancora la Direzione regionale, ha appaltato i lavori dopo avere effettuato un concorso. I progetti sono stati valutati non dalla Soprintendenza ma da una commissione del Ministero formata da esperti di chiara fama. Non si è trattato di una gara al massimo ribasso, come è stato scritto, ma sono stati valutati il progetto, la tempistica, l’offerta economica. L’intera operazione, dalla gara, all’appalto, all’esecuzione, ha coinvolto direttamente il Ministero, con la partecipazione di tutti i suoi uffici: Segretariato regionale, come stazione appaltante e per gli impianti, Brera e Soprintendenza, che ha seguito in particolare l’esecuzione del restauro architettonico, coadiuvata dai massimi esperti. La direzione dei lavori è stata del Provveditorato dei Lavori Pubblici ed è stata impeccabile. Abbiamo aperto il palazzo l’anno scorso in aprile (cfr. n. 386, mag. ’18, p. 31) : è stata una festa, fiumi di persone, tantissimi gli apprezzamenti.
Il nuovo progetto proposto dal direttore Bradburne è già stato sottoposto al vostro esame? Crede che sarà approvato?
In Soprintendenza abbiamo ricevuto dei rendering della nuova scala, gli stessi diffusi alla stampa. È realistico l’intervento? Come affronta i temi strutturali e di prevenzione incendi dettati dalla normativa? Ma, soprattutto, ha senso ricominciare da capo, invece di aprire il museo? La passerella sul giardino, poi è un atto di violenza. Ha senso rivoluzionare la distribuzione a lavori finiti?
Perché non è venuta alla conferenza stampa, a presentare e difendere le sue posizioni?
Non mi devo difendere e non voglio personalizzare, com’è stato fatto, nei termini di una querelle tra Brera e Soprintendenza, che sono uffici del Ministero. Sulla funzionalità di Palazzo Citterio sono state divulgate affermazioni e giudizi solo per farne un caso e una polemica che non portano a nulla. Il lavoro è stato realizzato a seguito di concorso e progettato per accogliere un museo, funzionale ai requisiti necessari. È stato collaudato e monitorato il funzionamento degli impianti. È pronto il certificato prevenzione incendi dei Vigili del Fuoco, ma non può essere rilasciato perché manca l’attività. Si apra e si faccia vivere Palazzo Citterio. Trattandosi di finanziamenti pubblici, alimentare querelle assurde e ricominciare da capo è surreale ed è uno spreco di denaro pubblico. A un anno dalla fine dei lavori il palazzo sta diventando una larva, un fantasma, quando invece deve essere usato, assicurando la sua manutenzione, che non s’intende fare. Assistiamo increduli a un sabotaggio intellettuale, morale e materiale.
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