Maria Sancho-Arroyo
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La 60ma edizione della Biennale di Venezia è stata da poco inaugurata e gli Stati Uniti sono rappresentati da Jeffrey Gibson (Colorado Springs, 1972), artista di origine Choctaw (Mississippi) e Cherokee. È un evento storico, poiché per la prima volta un artista nativo americano è protagonista di una mostra personale nel Padiglione statunitense. La sua opera, «The space in which to place me» («Lo spazio in cui collocarmi»), si ispira alla poesia di Layli Long Soldier, appartenente alla Nazione Oglala Lakota. Inoltre, Kathleen Ash-Milby, curatrice presso il Portland Art Museum e membro della Nazione Navajo, ricopre il ruolo di cocuratrice del Padiglione, un evento storico anche per lei in quanto prima curatrice indigena nella storia della manifestazione lagunare. Nel Padiglione americano l’opera di Gibson è affiancata da esibizioni di musicisti, poeti e danzatori, anch’essi indigeni, con l’obiettivo di valorizzare l’arte dei nativi americani e incrementare il loro riconoscimento e comprensione su scala globale.
L’abilità di Gibson si esprime in modo vivido attraverso opere dai colori vibranti, che coniugano elementi dell’arte tradizionale dei nativi americani con riferimenti artistici contemporanei. Dopo aver conseguito la laurea in arti figurative presso la School of the Art Institute di Chicago nel 1995, l’artista ha proseguito i suoi studi al Royal College of Art di Londra, grazie a una borsa di studio assegnata dalla Mississippi Band of Choctaw Indians. Essere scelti per rappresentare il proprio Paese alla Biennale di Venezia non è solo un onore, ma anche un impulso alla carriera. Tuttavia, le implicazioni finanziarie di una simile impresa sono notevoli.
L’allestimento del Padiglione degli Stati Uniti ha richiesto quest’anno un budget di 5 milioni di dollari, a cui il Governo ha contribuito con soli 375mila dollari, appena il 7,5% del costo totale stimato. Per colmare il divario, un gruppo di curatori, galleristi, collezionisti e filantropi si è impegnato in una raccolta fondi per garantire a Gibson la possibilità di esporre le sue opere senza pressione finanziaria.
I potenziali donatori vengono contattati con lettere che invitano a versare da 60mila a 125mila dollari con il vantaggio delle detrazioni fiscali e l’incentivo di proposte mirate, come un cocktail esclusivo con Gibson, una visita privata della mostra della Biennale e un catalogo firmato dell’evento. Sebbene l’elenco dei benefattori non sia ancora noto, l’artista è stato protagonista di una conversazione ad Art Basel Miami Beach lo scorso dicembre, nel lounge privato di Ubs, al cospetto della carta da parati da lui disegnata «Ancestral Superbloom» (2023) e del trittico «Just When You Least Expect It» (2023), le cui tonalità brillanti illuminavano l’ambiente altrimenti dimesso. Queste tre opere in acrilico su tela, imbellite da minuziosi ricami di perline di vetro colorato, sono state commissionate per l’Ubs Arena di Elmont, New York, e ora vantano una posizione di rilievo tra le recenti acquisizioni della Ubs Art Collection.
L’impegno finanziario richiesto per rappresentare gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia è aumentato notevolmente nel corso dei decenni. Nel 1964, la spesa per la mostra di Robert Rauschenberg ammontava a 72.400 dollari, pari a circa 720mila dollari di oggi. Per contro, la presentazione di Simone Leigh alla Biennale del 2022 richiese un budget di circa 7 milioni. Gli esperti del settore sottolineano che i contributi fiscali del Dipartimento di Stato non coprono i costi crescenti. Di conseguenza, la richiesta di fondi a collezionisti e galleristi è diventata la norma, pur suscitando non poche preoccupazioni e dubbi in curatori e professionisti dell’arte poiché solo gli artisti sostenuti da gallerie importanti, capaci di assorbire i costi elevati, sono in grado di partecipare. Ad esempio, la presenza di Simone Leigh alla Biennale del 2022 è stata sostenuta da Hauser & Wirth, megagalleria che aveva già sponsorizzato Mark Bradford nel 2017.
I galleristi non solo finanziano gli aspetti organizzativi del padiglione, ma si accollano anche l’investimento con l’auspicio che l’esposizione possa incrementare la visibilità e il valore delle opere dell’artista, nonché la sua carriera. In questo senso la Biennale è un vero e proprio trampolino di lancio: poco dopo la sua ammissione, a Gibson è stato offerto l’incarico per il 2025 di creare un’opera per la facciata del Metropolitan Museum of Art.
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