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Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliSe si cerca un valido luogo d’osservazione sulle Marche, la plancia di comando del «Corriere Adriatico» permette di scrutare l’intero territorio da molteplici punti di vista. A dirigere il quotidiano dell’editore Caltagirone (abbinato al «Messaggero») è Giancarlo Laurenzi, già vicedirettore de «La Stampa» e «Il Messaggero» e direttore del giornale gratuito «Leggo». Nato a Roma nel 1965, dalla primavera del 2016 Laurenzi guida il «Corriere Adriatico», che ha ampiamente rinnovato nella grafica e nei contenuti.
Giancarlo Laurenzi, per il territorio marchigiano quanto contano la cultura e l’arte per la ripartenza dopo il lockdown?
Detto che l’arte ne esce a pezzi, bisogna anche dire che l’arte è una forma di libertà e se questa non si elide certo va poco d’accordo con il principio del distanziamento e del divieto di ogni assembramento. Ciò premesso, qualunque civiltà moderna che pensi di uscire dalla situazione provocata dal Coronavirus non può prescindere dalla cultura e dall’arte.
Se si considerano le limitazioni sui visitatori e sugli spettatori degli spettacoli, quali sono le strategie da adoperare?
Per entrare nello specifico le Marche ne escono in una forma disperata: per la stagione 2020 la Regione aveva fatto investimenti corposi e senza precedenti sul turismo artistico e sulle bellezze culturali, ma l’effetto imprevedibile del virus equivale ad aver costruito un meraviglioso castello per vederlo distrutto da un terremoto. Questo ragionamento è importante, altrimenti non si capiscono le difficoltà che saranno alla base di scelte future. I soldi non si stampano in copisteria, esiste un problema di risorse e le Regioni devono essere per forza supportate dallo Stato, così come la cultura e l’arte devono essere i capisaldi della ripartenza. Se non prevede forme di aiuto totale per la sua ricchezza più grande, l’Italia è senza futuro.
In maggio il quotidiano britannico «The Daily Telegraph» ha invitato i lettori a venire in Italia a emergenza conclusa, indicando tra le mete Ascoli Piceno, il Palazzo Ducale di Urbino e gli Appennini. Quale turismo culturale possiamo avere quest’anno?
L’estate 2020 passerà con la domanda interna di turismo. Certo, se fosse solo regionale sarebbe un problema: sarà difficile avere turisti dall’estero, ma dovranno venire da altre regioni, perché i marchigiani hanno già visto Urbino e le grotte di Frasassi. Nel rispetto delle procedure i siti di interesse culturale devono essere aperti, con tutte le attenzioni possibili alla sicurezza, senza alcun rischio per nessuno, magari con prenotazioni online. Ma è indispensabile.
A suo giudizio negli ultimi tempi c’è stato un tentativo di lanciare il turismo culturale oltre i confini regionali?
Sì, il tentativo c’è stato, soprattutto ha visto impegnare energie e risorse economiche consistenti, tra l’altro anche nel settore della comunicazione, che è fondamentale, mentre prima sembrava quasi inconcepibile. Abbiamo assistito a un grosso sforzo soprattutto da una parte ben definita della Regione Marche e penso in primo luogo all’assessore al turismo Moreno Pieroni e al dirigente Raimondo Orsetti, che si è speso dagli inizi del 2017 affinché questa regione diventasse più visibile. Ricordo, per esempio, lo spot con Giancarlo Giannini, oppure quello con il campione di ciclismo Vincenzo Nibali sui percorsi ciclistici che tutti hanno visto durante l’ultimo Festival di Sanremo. Dobbiamo ricordare che nelle Marche si può vedere moltissimo, ci sono il mare e le montagne, entrambi affascinanti. E non perdetevi i Sibillini: sfregiati dal terremoto del 2016, restano meravigliosi. Anche questi monti hanno fatto parte del rilancio affinché tornassero a vivere. Mi riferisco alla manifestazione «Risorgi Marche» ideata da Neri Marcorè: negli anni scorsi ha portato in luoghi splendidi migliaia di spettatori, fino ai circa 70mila per Jovanotti. C’è stata una cabina di regia che ha agito con competenza ed esperienza.
Dunque le Marche sono culturalmente vivaci?
È una regione capace di straordinarie sollecitazioni, cui anche la storia consente di fregiarsi di una certa allure. Certo, un tipo di pensiero ama richiamare Federico II e sostiene che dopo è andato tutto a sfumare, ma non è affatto così. Il territorio artistico è ricco, ma poco conosciuto e povero di segnalazioni: solo se ci vieni te ne rendi conto. Per i marchigiani è normale avere tanti tesori, è la regione detta dei «mille borghi», che sono come autentiche miniature. Lo splendido isolazionismo fino a un certo tempo ha rappresentato un vantaggio, la regione bastava a se stessa. Adesso per la crisi economica e anche per necessità culturale è indispensabile l’interscambio con l’esterno. Se si conoscono, le Marche rivelano le proprie realtà, ma è un tesoro che va sfruttato meglio.
Le Marche soffrono nelle infrastrutture dei trasporti pubblici, per esempio, sulla linea ferroviaria?
Con me qui sfondate una porta aperta. Da anni sul «Corriere Adriatico» facciamo una battaglia su questo tema: le infrastrutture sono il «buco nero» delle Marche, sono assolutamente inadeguate. Mi riferisco anche all’impianto aeroportuale: siamo indietro. Questo fattore incide molto, soprattutto su chi viene da fuori. Basti citare un dato del 2019: in Italia la presenza di turismo estero rispetto a quello italiano è mediamente del 50%, cioè un turista straniero per uno italiano. Qui siamo al 22%.
Lei ha un’opera o un luogo preferiti?
Se mi posso permettere più citazioni, penso al Palazzo Ducale di Urbino, ma non tanto al palazzo da solo, peraltro tenuto molto bene dall’ex direttore Peter Aufreiter: penso a quel gioiello inserito nella costruzione meravigliosa della città dove si respirano storia e cultura. Bisogna andarci. Al secondo posto cito le grotte di Frasassi a Genga. E, terza, la spettacolare piazza di Ascoli. Ma vorrei anche dire che cultura e storia vanno collegate agli affetti: i luoghi aprono la testa e aprono il cuore.

Un panorama di Urbino. Cortesia: Regione Marche
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