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Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliAlberto Burri non era un tipo ciarliero e tanto meno amava discettare della sua arte. Ricorda Bruno Corà, presidente della Fondazione Burri nella città natale dell’artista: «Parlava pochissimo e spesso negava quanto lui stesso diceva. Anzi, diceva sempre “abbiamo detto queste fregnacce ma io non ti ho detto niente”».
Il critico d’arte ripensa alle conversazioni con l’artista nel momento in cui l’istituzione ha superato un’ulteriore tappa del vasto progetto «Grandi Musei Burri»: nella sede degli ex Seccatoi (l’altra è Palazzo Albizzini) ha aperto la sezione Burridocumenta. Tra documenti autografi e riproduzioni, l’intento è raccontare, in italiano e inglese, le diverse stagioni della sua opera, gli incontri con critici e artisti, le mostre personali, le partecipazioni a rassegne internazionali e i testi specialistici. Spiega Corà: «Stiamo completando una serie di obiettivi che si era posto lo stesso Burri. Dopo aver portato a compimento il Cretto di Gibellina con i 24mila metri quadri mancanti di superficie (cfr. «Il Giornale dell’Arte» n. 358, nov. ’15, p. 14), dopo aver ricostruito il suo Teatro Continuo al Parco Sempione a Milano, stiamo cercando i finanziamenti per il progetto a Città di Castello: Burri aveva ideato un’autentica architettura da collocare in piazza Garibaldi la quale diventerà, per volontà del sindaco, piazza Burri. L’edificio dovrebbe realizzarsi entro il 2021».
Negli spazi sotterranei degli affascinanti ex Seccatoi del tabacco, la Fondazione ha bonificato e climatizzato le sale e adeguato l’illuminazione. «Abbiamo sistemato un’area di alcune migliaia di metri quadrati», continua il Corà. I documenti non riservano qualche sorpresa, magari una lettera sconosciuta? «Ci sono le lettere a Cesare Brandi, ad Afro, ma sono pochissime, non un vero epistolario, e alcune interviste. Tra i documenti più gustosi, sulla pagina di un giornale Robert Rauschenberg racconta di come lui e Burri, nel 1953, si fossero scambiati un dono, come un feticcio. Burri su quel pezzo di giornale ha annotato: o è bugiardo chi lo ha intervistato o è bugiardo Rauschenberg. Tra i due c’era un certo attrito». Quello scambio avvenne? «A noi non risulta e lui ha sempre negato quindi non è confermato».
Nell’abbondante pubblicistica sono comprese per esempio le polemiche finite in Parlamento sull’acquisto di un «Grande Sacco» da parte della Galleria Nazionale d’Arte Moderna diretta da Palma Bucarelli nel 1959, acquisto che scandalizzò il parlamentare comunista Umberto Terracini. «Tra incontri con altri artisti, viaggi e la presenza delle sue opere in collezioni pubbliche e private, questo repertorio fornisce anche uno spaccato internazionale», rivendica Corà. E allarga il raggio d’azione all’elemento educativo: «Abbiamo pensato anche ai ragazzi delle elementari. Lo spazio è pieno di touchscreen per ingrandire le immagini, per sfogliare libri e cataloghi, e ci sono dei computer a disposizione. Qui può fare ricerche chiunque abbia tra i 6 e i 96 anni. Abbiamo anche film rari, che vedono Burri al lavoro: da quello in cui Giovanni Carandente lo riprende mentre realizza plastiche con il fuoco sino ai filmati della storica trasmissione culturale della Rai “L’approdo”». Il presidente della Fondazione chiosa «con un elogio agli straordinari tecnici di qui: tecnologicamente avanzatissimo, ritengo che questo progetto sia un modello esemplare su come si possa comunicare la cultura senza fare bigiotteria».
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