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Una visione d’insieme della fiera Tefaf

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Una visione d’insieme della fiera Tefaf

Tefaf brilla (e vende) più che mai

Quasi trecento stand hanno riempito gli spazi fieristici del Mecc di Maastricht dove, tra i numerosi addetti ai lavori accorsi e il pubblico americano, sono stati conclusi affari importanti

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Elena Correggia

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Più che un tuffo nella bellezza è una vera e propria immersione, lunga 272 stand, quella che il Tefaf promette senza tradire ancora una volta le aspettative. L’edizione della fiera di arte e antiquariato, che si sta per concludere e che è allestita negli spazi fieristici del Mecc dal 9 al 14 marzo, ha mantenuto alta la qualità ma con un’energia rinnovata rispetto allo scorso anno. Palpabile la soddisfazione per le vendite, pur con le dovute differenze, fra gli espositori provenienti da 22 Paesi, tutti concordi nel riconoscere l’importanza del ritorno degli americani, sia privati, sia istituzioni museali (sono stati 300 i direttori di museo e 650 i curatori provenienti da tutto il mondo nelle prime giornate di preview). E chissà che la riduzione nel numero di giorni di apertura (quest’anno un unico fine settimana) non abbia indotto gli indecisi a velocizzare i propri acquisti.

L’arte fiamminga e quella italiana erano numericamente prevalenti nell’ambito dell’antico. Da Stuart Lochhead di Londra, antiquario specializzato in scultura soprattutto antica, il suggestivo ed essenziale allestimento dello studio nippo-elvetico Kodai and Associates metteva in risalto una preziosa scultura bronzea di Giambologna, raffigurante Marte in cammino, subito notata da un museo americano che l’ha comprata per 4 milioni di dollari. La galleria Colnaghi esponeva il ritratto severo di una dama dalla carnagione d’alabastro di Domenico Tintoretto che ha convinto un collezionista a spendere una cifra intorno a 900mila euro. «Nei primi giorni della manifestazione abbiamo venduto 11 opere, è stata per noi una delle migliori edizioni di sempre», hanno commentato dalla galleria Charles Beddington, dove spiccava una grande Resurrezione, tempera di Giovanni Battista Bertucci, che sembrava rendere omaggio alle cromie delicate e alla composta ieraticità di Piero della Francesca (venduta a un privato americano per 400mila euro circa).

Nello stesso stand venduta anche una veduta veneziana di Piazza San Marco durante la festa di santo Stefano di Francesco Guardi e Michele Marieschi per un prezzo richiesto di 450mila euro. Molte le opere ad attirare gli sguardi allo stand di Carlo Orsi (Trinity Fine Art), fra cui un raro olio su tela di Hendrick Goltzius, «Giove e Giunone», firmato con monogramma e datato 1616, ed è stato ben presto venduto «Venere e Cupido» di Alessandro Turchi, detto l’Orbetto, realizzato su inusuale fondo d’ardesia ben conservato. Fra le vendite della Galleria Canesso si segnalano una tela del Maestro dell’ambulante Canesso (del 1670-1690 circa), esposta nel 2023 alla mostra dedicata a Giacomo Ceruti al Museo di Santa Giulia di Brescia e «Il concerto» di Evaristo Baschenis.

Soddisfazione anche per Massimiliano Caretto e Francesco Occhinegro, che nei primi 30 minuti della fiera avevano già venduto la «Decapitazione del Battista» a un collezionista privato olandese per 100mila euro circa. Gli stessi galleristi hanno poi trovato un acquirente anche per una delle opere più importanti da loro esposte, un trittico con la Trasfigurazione di Cristo, olio su tavola di Pieter Coecke Van Aelst (la richiesta iniziale era 850mila euro) e per un ritratto di un’anziana illuminata dalla luce di una candela, del 1620, su cui c’è stato consenso fra gli studiosi nell’attribuzione al fiammingo Jacob Jordaens (150mila euro circa la richiesta).

«Sono contento, lo stand è stato ammirato e ho numerose trattative su opere diverse», afferma Matteo Salamon, dell’omonima galleria, che dopo i primi giorni di fiera aveva già venduto due fondi oro, un’opera di Jacopo del Casentino e una tavola di Andrea Bonaiuti (quest’ultima per una cifra a cinque zeri), una Crocifissione finora sconosciuta e parte centrale mancante di un polittico dell’artista fiorentino oggi nelle raccolte del Museum of Fine Arts di Houston. Un’altra Crocifissione, questa volta di Cecco da Caravaggio, proposta da Caylus di Madrid, è stata acquistata da un museo americano per 280mila euro.

Una delle opere più ammirate della manifestazione, che ha conquistato l’attenzione di storici dell’arte e curatori di musei, è stato l’importante olio su tela del pittore francese Pierre Subleyras, «Il matrimonio mistico di Santa Caterina de Ricci», del 1746, presentato dalla galleria Benappi Fine Art. Il dipinto, notificato e portato a Tefaf grazie a un permesso speciale di esportazione temporanea, non era esposto in pubblico dal 1968 ed era stato commissionato a Subleyras da Papa Benedetto XIV in occasione della canonizzazione della santa, insieme con un altro dipinto raffigurante San Camillo de Lellis, quest’ultimo conservato nella collezione del Museo di Roma.

Trasversale per epoche e stili la crescente presenza di donne artiste, dalle più celebrate come Artemisia Gentileschi (proposta con la Maddalena penitente da Robilant+Voena a 7 milioni di dollari) e Lavinia Fontana (con il celebre ritratto di Antonietta Gonsalvus, presentato da Rob Smeets, dopo essere stato battuto in asta da Rouillac per 1,55 milioni di euro, l’anno scorso) fino alle figure meno note al mercato quali Gesina ter Borch, il cui unico dipinto firmato è stato venduto da Zebregs&Röell Fine Art al Rijksmuseum di Amsterdam o come Violet Evelyn Arnott, con un autoritratto dall’aspetto androgino, dipinto fra 1925 e 27 venduto dalla galleria Agnews, che riconosce come siano gli stessi musei ad andare sempre più alla ricerca delle opere di artiste.

Varie opere vendute nella fascia di prezzo compresa fra 30 e 100mila euro da Maurizio Nobile, che dedicava una particolare attenzione ai ritratti, fra cui quello di Giovanni Colacicchi raffigurante Piero Gadda Conti (1941), in una posa a mezzo busto col volto tre quarti secondo gli stilemi della ritrattistica italiana rinascimentale (50mila euro la richiesta). La galleria Carlo Virgilio&C. ha venduto un dipinto dell’artista Carl Glotz al Museo Nazionale di Archeologia, Storia e Arte del Lussemburgo e il «Pescatoriello Marvasi», scultura in bronzo di Vincenzo Gemito a un museo americano. Gemito risulta apprezzato dal collezionismo internazionale e lo stesso espositore ha venduto anche una sua terracotta, «Piccolo Malatiello» e, sempre in ambito scultoreo, un «David» in bronzo di Venanzo Crocetti, del 1935, dai richiami alla statuaria arcaica.

Positivo anche il bilancio per Francesca Antonacci e Damiano Lapiccirella: «Dopo i primi quattro giorni abbiamo venduto 11 opere, con una media fra 80 e 150mila euro e punte che superano i 200mila. Possiamo citare “The wizard”, un importante dipinto di Burne-Jones, uno dei protagonisti dei Preraffaelliti e l’Autoritratto di Pierre Troubetzkoy, che sono entrati a far parte di due importanti collezioni private internazionali». Due dipinti e un oggetto subito venduti da Brun Fine Art, a cui si aggiunge l’interesse suscitato dalla tela di Marie-Victoire Lemoine, «Giovane donna che fa il formaggio», esposto pochi mesi fa al Musée Fragonard di Grasse.

Nella sezione «Showcase» la proposta di Tommaso Calabro dedicata al Surrealismo è stata premiata e fra le vendite si possono citare un olio di Fabrizio Clerici (prezzo fra 13 e 15mila euro) e una carta di Leonor Fini (fra 80 e 100mila). Il pezzo forte della galleria M.S. Rau di New Orleans, una Testa di contadina con copricapo bianco di Vincent van Gogh è stata acquisita da un museo privato al di fuori dell’Unione Europea. Fra i grandi delle Avanguardie del Novecento spiccava infine da Landau la tela di Kandinskij «Murnau mit Kirche II», del 1910, forse la proposta più cara della fiera, la cui richiesta era superiore a 50milioni di dollari (era stata acquistata in asta da Sotheby’s nel 2023 per 44,8 milioni di dollari circa).

Come sempre curata la cornice della kermesse, quest’anno con raffinatissime corbeille di fiori che ondeggiavano dal soffitto come delicati lampadari. Ma l’intera fiera invitava a un’esplorazione con i cinque sensi: alla vista si affiancava una percezione quasi tattile, di gusto e olfattiva, evocata dal virtuosismo di alcune tele (su tutte le nature morte di Willem Claesz Heda e le sontuose ceste di frutta di Van Hulsdonck da Richard Green). Per passare agli oggetti da Wunderkammer, come la lumaca d’oro massiccio finemente smaltata e utilizzata come versatoio, del 1620 circa, presentata dall’antiquario Kugel, oppure lo scintillante bollitore a forma di animale fantastico, oggetto della dinastia Ming, in argento cinese finemente lavorato e tintinnante, appartenuto allo sceicco Hamad bin Abdullah Al Thani (da Jaime Eguiguren), per concludere con i luccichii e fruscii preziosi della sezione dei gioielli d’epoca, (su tutti i capolavori di maestria di René Lalique e Carl Fabergé da Wartski). Senza dimenticare i brindisi, questa volta reali e a base di champagne, che si sono ripetuti più volte fra i corridoi. Un ottimo indizio di affari conclusi.

 

Elena Correggia, 12 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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