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Francesco Tiradritti
Leggi i suoi articoliZahi Hawass è in assoluto il più celebre egittologo contemporaneo. Nato a Damietta 69 anni fa, ha ricoperto per anni la carica di segretario generale del Consiglio Superiore delle Antichità egiziano per poi essere ministro delle Antichità, funzione creata per lui all’indomani della «rivoluzione» del gennaio 2011.
Figura mediatica per eccellenza, ha spesso suscitato il malumore dei colleghi stranieri con leggi che hanno portato alla centralizzazione della gestione delle scoperte archeologiche effettuate in territorio egiziano. A Zahi Hawass va però riconosciuto il merito di avere proseguito e concluso il processo di modernizzazione del Consiglio Superiore delle Antichità cominciato dal suo predecessore Abd El-Khalim Nour Eddin negli anni Novanta.
È uscito di scena ben oltre i limiti imposti dalle regole del pensionamento egiziano a causa proprio di sue simpatie per il deposto regime di Mubarak. Come molto spesso succede per le figure di spicco, in ogni professione, molti di coloro che lo sostenevano gli hanno voltato le spalle e lo hanno dato per finito.
Negli ultimi anni ha invece continuato a pieno ritmo le sue attività. È spesso in giro per il mondo a tenere conferenze e le sue pubblicazioni sono tradotte in varie lingue. Recentemente è stato nominato a capo di un progetto il cui scopo è quello di rivelare i misteri della Valle dei Re.
La direzione di un progetto di scavo nella Valle dei Re è una specie di ritorno alle origini, quando lei lavorava come archeologo sull’altopiano di Giza. Che cosa prova?
Mi sento felice di tornare a lavorare sul campo. Per tutta la mia vita ho desiderato dedicarmi all’archeologia sul campo e quando mi hanno chiesto di diventare il direttore scientifico del progetto per l’esplorazione sistematica della Valle dei Re ho provato un’immensa gioia.
Qual è il principale obiettivo delle future ricerche nell’area?
Cercheremo le tombe che ancora mancano all’appello, come quella di Amenofi I. Alcuni colleghi ritengono si trovi fuori dalla Valle, ma chi lo può davvero sapere? Magari ho ragione io. Anche le tombe di Thutmosi I, Ramesse VIII e di alcune importanti regine potrebbero essere nella Valle dei Re. Quando, nel 2010, ho interrotto le mie ricerche nella Valle delle Scimmie (braccio occidentale della Valle dei Re dove si trovano le tombe di Amenofi III e Ay, Ndr) avevo appena scoperto quattro depositi di fondazione. Quando gli Egizi realizzavano una tomba erano soliti scavare quattro o cinque depositi di fondazione. Quelli che ho trovato io erano a poca distanza della tomba di Ay. Ritengo che appartengano alla sepoltura di Ankhesenamun, la sposa di Tutankhamon, ed è da lì che comincerò le mie ricerche.
Sulla base della sua lunga esperienza sui problemi dei monumenti egiziani, come valuta l’attuale situazione delle antichità in Egitto?
I primi due anni di rivoluzione sono stati tremendi per le antichità perché le persone hanno cominciato a depredare i monumenti e a edificare sui siti archeologici. Per questi motivi il patrimonio egiziano ha sofferto grandemente. Gente ignorante pensava che i monumenti celassero chissà quali tesori. Alcuni cercavano l’oro, altri addirittura il mercurio rosso che non esiste neanche. Si tratta infatti di un liquido leggendario contenuto nella gola delle mummie che avrebbe il potere di controllare il demonio e di rendere ricco chi ne entra in possesso. È incredibile quante persone hanno cominciato a scavare spinte dalla bramosia di questa mitica sostanza. Se osservi le fotografie satellitari dell’Egitto ti puoi rendere conto di quanto ovunque i siti archeologici siano stati depredati sistematicamente. C’è anche il problema che la costruzione di nuovi musei, la gestione dei siti archeologici e altri lavori volti alla protezione del patrimonio egiziano dipendono completamente dalle entrate derivanti dal turismo. Negli ultimi cinque anni non abbiamo avuto visitatori e così non ci sono più i soldi né per nuovi progetti, né per completare quelli già in corso d’opera. Avevo cominciato la costruzione di alcuni musei che a tutt’oggi rimangono incompiuti. Molti siti necessiterebbero di un adeguato piano di gestione, ma nulla è stato più fatto per mancanza di fondi.
Che cosa si può fare per aiutare l’Egitto?
Credo che la cosa più importante sia far sapere al mondo che l’Egitto è un Paese sicuro. Lo è davvero e abbiamo bisogno che i turisti tornino. La ragione per cui lo dico è che negli ultimi mesi ho guidato in Egitto più di 2mila turisti americani. Proprio oggi, al termine di questa intervista, ho una conferenza a cui prenderanno parte 72 americani venuti apposta dagli Stati Uniti per incontrarmi. Quando faranno ritorno in patria, ne sono più che sicuro, piangeranno di rimpianto perché si lasceranno alle spalle un’esperienza unica e avranno ancora negli occhi lo splendore dei monumenti visitati e nel cuore la gentilezza e il calore delle persone incontrate.
Il turismo in Egitto sta attraversando una profonda crisi. Qual è la situazione?
Come ho già detto vengono pochissimi turisti in Egitto e questo ha gravi conseguenze per l’economia della salvaguardia e del mantenimento dei siti. Ho sempre affermato che i monumenti egiziani non appartengono agli egiziani, ma al mondo intero. Le persone che sostengono di amare davvero il nostro Paese dovrebbero dimostrarlo concretamente e farvi ritorno mettendo da parte ogni paura.
Pensa che le sue ricerche nella Valle dei Re possano aiutare a riportarli?
Naturalmente ogni scoperta, ogni notizia positiva relativa all’Egitto faraonico può provocare eccitazione e una nuova ondata di interesse verso il mio Paese. Ogni nuova scoperta può rivelarsi di estrema importanza non soltanto per gli egiziani, ma per il mondo intero e rappresentare un incentivo a tornare a visitarci.
Quali sono gli altri impegni attuali?
Sono il direttore scientifico del progetto per la scansione delle Piramidi di Giza, sono membro del comitato per il rimpatrio degli oggetti rubati e tengo conferenze in Egitto e in molti Paesi del mondo. Vengo invitato a parlare in Italia quasi ogni mese. Continuo a scrivere articoli scientifici e per il grande pubblico in giornali e riviste. Sto lavorando a qualche libro. Nonostante non abbia più impegni governativi non ho un singolo momento libero.
Che cosa possono fare gli egittologi stranieri per aiutare l’Egitto a uscire dalla crisi in cui è sprofondato?
Ognuno dei nostri colleghi dovrebbe diffondere un messaggio nel proprio Paese. Lo dovrebbe fare quando tiene una conferenza pubblica oppure si trova a trattare con i media. Anche le scoperte fatte da ogni missione straniera dovrebbero avere la maggiore risonanza possibile. Gli archeologi stranieri possono agire come ambasciatori delle nostra cultura e diffonderla nel mondo contribuendo a dare un’immagine corretta dell’Egitto di oggi.
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