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L’interno di Palazzo Bonfadini, oggi albergo

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L’interno di Palazzo Bonfadini, oggi albergo

Grand Hotel Venezia

Tutte le case della città si trasformano in strutture ricettive: l’ultimo caso a far discutere è la Camera di Commercio degli anni Venti che diventerà (in deroga alle norme) un albergo a 5 stelle lusso. Ma la lista è pressoché infinita

Enrico Tantucci

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La grande «svendita» dei palazzi pubblici veneziani, molti dei quali ad alto valore artistico e architettonico, va avanti ormai da almeno un quindicennio e la destinazione finale di questi edifici (immessi sul mercato per fare cassa, con il Comune di Venezia in prima fila) è quasi sempre quella alberghiera. Non a caso, per sottolineare il fenomeno, un grande architetto che bene conosceva le vicende veneziane come Vittorio Gregotti (1927-2020), aveva creato la definizione di «Hotel Venezia».

L’ultimo caso, che fa discutere, è quello della sede storica della Camera di Commercio, degli anni Venti con facciata in stile Liberty. È stata venduta sei anni fa dall’ufficio camerale alla società Marzo hotel, a cui ora il Comune è pronto a concedere il cambio di destinazione d’uso a turistico ricettivo all’edificio (in deroga alle norme vigenti) per realizzarvi un albergo 5 stelle lusso di 43 camere, con spazi commerciali, pubblici esercizi e un ristorante con chef stellato. Per evitare «l’elevato rischio che lo stesso rimanga dismesso per molti anni con grave deperimento conservativo di un edificio storico di pregio architettonico e d’interesse culturale», scrive il Comune nella delibera.

Ma i veri motivi sono più prosaici. I circa 8,5 milioni di euro degli oltre 11 che la società corrisponderà al Comune come contributo al cambio di destinazione d’uso serviranno a tenere in equilibrio i conti del bilancio 2023 dell’Amministrazione, altrimenti a rischio. È così da sempre, indipendentemente dal colore politico della Giunta, ma anche dal tipo di Amministrazione pubblica, perché la Regione del Veneto non si comporta diversamente (è già sul mercato anche la «casa istituzionale» del governatore Luca Zaia, il settecentesco Palazzo Balbi con gli affreschi di Jacopo Guarana) e così gli stessi atenei veneziani.

L’onda lunga si avvia intorno al 2007 (giunta Cacciari) quando il Comune con la partecipata Actv (l’azienda di trasporti già allora in difficoltà economiche) mette in vendita il quattrocentesco Palazzo Ravà Giustiniani, affacciato sul Canal Grande a fianco della Ca’ d’Oro, divenuto ora l’hotel Pesaro Palace. E più meno negli stessi anni Veritas, l’azienda comunale per la raccolta dei rifiuti, vende un altro edificio settecentesco, Palazzo Bonfadini, affacciato sul rio di Cannaregio e decorato nelle sue sale interne dagli stucchi e gli affreschi realizzati tra Settecento e Ottocento da artisti veneziani come Giuseppe Castelli, Giuseppe Borsato e Giambattista Canal.

Divenuto oggi (non c’è bisogno di dirlo) il Ca’ Bonfadini Hotel. E se non sono diventati alberghi, sono appartamenti di lusso, come quelli di Palazzo Costa Vendramin, sempre a Cannaregio. O come quelli, una quindicina e sempre di pregio, ricavati all’interno di Ca’ Garzoni e Moro, quattrocentesco palazzo tardogotico con vista sul Canal Grande che ospitava un tempo corsi della Facoltà di Lingue dell’Università di Ca’ Foscari, messo in vendita nei primi anni Duemila, restaurato però completamente solo cinque anni fa. Ma l’altro ateneo veneziano, l’Università Iuav, non ha fatto diversamente, cedendo il settecentesco Palazzo Pemma Zambelli in Campo San Giacomo de l’Orio, divenuto da qualche anno l’hotel Aquarius Venice.
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Spesso i palazzi pubblici sono venduti anche in extremis per evitare di chiudere sul bilancio in rosso. È il caso, nel 2011, di Ca’ Corner della Regina, a lungo sede dell’Asac, l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale e poi affidato alla Fondazione Musei Civici. Per cedere il settecentesco palazzo (costruito su preesistenze dall’architetto Domenico Rossi, per volontà della famiglia Corner, e decorato all’interno anche dagli affreschi d’epoca di Costantino Cedini che glorificano l’illustre antica proprietaria del palazzo, Caterina Cornaro, regina di Cipro) il Comune di Venezia «tirò per la giacca» Miuccia Prada che alla fine lo acquistò per farne la sede veneziana della sua Fondazione, con attività espositive e residenza. Ma solo qualche anno prima le Poste Italiane avevano ceduto lo storico Fondaco dei Tedeschi (un tempo affrescato da Tiziano e Giorgione sulle due facciate, interna ed esterna sul Canal Grande) al gruppo Benetton, che lo ha trasformato nel grande magazzino del lusso che è oggi, gestito dal gruppo Dfs di Hong Kong.

Un ruolo importante in questa caccia al «saldo» immobiliare pubblico a Venezia lo ha giocato la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), la società controllata dal Ministero dell’Economia che gestisce il risparmio postale degli italiani. E che ha fatto incetta di palazzi, soprattutto comunali ma non solo, per poi cercare di rivenderli. È il caso di Palazzo Diedo, già sede di una scuola e poi di uffici giudiziari, costruito all’inizio del Settecento da un grande architetto come Andrea Tirali. Recentemente affidato alla Fondazione Berggruen che qui farà un nuovo polo dedicato all’arte contemporanea.

Ma nel portafoglio immobiliare di Cdp, ad esempio, sono anche Palazzo Gradenigo e Palazzo Ziani, sempre acquistati dal Comune ed entrambi in cerca di ricollocazione. Il primo, di origine cinquecentesca, già sede di Venis, la società informatica del Comune, con affreschi e decorazioni a stucco del primo Ottocento; il secondo, seicentesco, affacciato lungo Fondamenta San Lorenzo, ospitava la sede di Insula, la società comunale di manutenzione urbana, venduto per risistemare un po’ i conti della società.
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E sempre Cassa Depositi e Prestiti ha invece acquistato dalla Regione lo splendido ma fatiscente (perché mai restaurato) Palazzo Venier-Manfrin, lungo il canale di Cannaregio. Di origine cinquecentesca, ma ricostruito nel Settecento ancora dall’architetto Andrea Tirali, con all’interno gli affreschi d’epoca di Giuseppe Zais e Giovan Battista Mingardi. Anche Palazzo Manfrin è appena passato di mano, perché sarà sede della Fondazione Kapoor, voluta dal grande scultore angloindiano Anish Kapoor che a Venezia ha anche preso casa e che qui avrà il suo studio con foresterie e anche un centro espositivo, una volta terminato il complesso restauro appena avviato.

Ma l’elenco delle cessioni è pressoché infinito: ci sono i settecenteschi Palazzo Donà in Campo Santa Maria Formosa e Palazzo Pomerio Papadopoli nei pressi di piazzale Roma. L’uno già sede di uffici dei Servizi sociali del Comune, l’altro del comando di Polizia municipale, sono stati entrambi ceduti negli ultimi anni dalla giunta Brugnaro al discusso imprenditore di Singapore Kwong Ching Chat, con destinazione alberghiera. E il primo è già stato riaperto come hotel.

C’è poi Palazzo San Cassiano a Rialto, divenuto l’hotel Orologio. O il magnifico, cinquecentesco Palazzo Nani, ricco di affreschi e di decorazioni, che da scuola che era, è diventato ora il Radisson Collection Hotel. Si potrebbe continuare, ma l’attenzione ora è soprattutto delle sansovianiane Fabbriche Nuove di Rialto, di proprietà del Demanio, che verranno liberate entro un paio d’anni dagli Uffici giudiziari destinati a trasferirsi a piazzale Roma. Che ne sarà di loro? La città vorrebbe qui un grande fondaco dell’artigianato (cfr. lo scorso numero, p. 14), ma sono perfette per diventare l’ennesimo hotel di lusso affacciato sul Canal Grande. Chi vincerà?

Le Fabbriche Nuove di Rialto

Palazzo Manfrin durante la mostra di Kapoor

Enrico Tantucci, 01 febbraio 2023 | © Riproduzione riservata

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