Marta Paraventi
Leggi i suoi articoliL’80% ha un servizio di biglietteria online ma non arrivano al 40% i musei che adottano in modo strutturale servizi educativi digitali o piattaforme dedicate: poco più della metà ha il sito tradotto nella sola lingua inglese. La chiusura dei musei a causa della pandemia ha generato un diffuso e crescente interesse verso l’offerta di attività fruibili online. Da qui nasce la volontà dell’Osservatorio Digitale di analizzare lo stato dell’arte dei 40 musei autonomi italiani approfondendone lo studio dei servizi digitali sulla base del sito web e dei social media utilizzati.
Le attività online indagate riguardano ambiti ritenuti strategici: traduzioni, biglietteria, e-commerce, collezioni, blog/magazine, app, tour virtuali, newsletter, attività e servizi educativi. Le attività individuate hanno restituito dati che sono stati trattati, aggregati e classificati. L’Osservatorio ha poi prelevato, dai siti internet, i link alle attività di social media marketing, individuato eventuali altri account non segnalati e analizzato quindi gli account ufficialmente o palesemente attribuibili ai musei autonomi.
Per le attività di social media marketing è stata stilata una classifica per numero di follower, engagement complessivo, che somma le interazioni degli utenti come like, commenti e condivisioni, contenuti pubblicati e l’«engagement rate», ovvero il tasso di interazione per post rispetto alla follower base di Facebook, Instagram, Twitter, YouTube, Pinterest, Linkedin e TikTok considerando specificatamente il primo trimestre 2021 (1 gennaio-31 marzo 2021).
Se l’80% dei musei autonomi offre la biglietteria online, soltanto il 6% consente la vendita di oggettistica e pubblicazioni tramite web. Sul fronte delle collezioni, è vero che il 63% dei musei ne offre la consultazione su supporto digitale, ma alcuni presentano solo un semplice inventario fotografico delle opere; alcuni propongono la sola selezione di capolavori, altri una banca dati completa, di taglio scientifico e nel contempo divulgativo.
Gli Uffizi di Firenze offrono la sezione completa delle collezioni ma anche il catalogo digitale articolato secondo i parametri dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (Iccd). Davvero scarsa (20%) la diffusione di riviste o blog come strumento di contatto con il pubblico (interessanti i prodotti delle Gallerie Estensi di Modena, Uffizi, Pinacoteca di Brera, Gnam-Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma). Il 51% dei musei si è dotato di app ma poco meno della metà fornisce indicazioni per scaricarle dal sito: le app sono indubbiamente uno strumento conoscitivo fondamentale per iniziare la visita del museo da remoto e in pochi casi, tra cui i Musei Reali di Torino, sono delle vere e proprie audioguide multilingue.
Il 26% dei musei statali dotati di autonomia dispongono dei tour virtuali e in qualche caso utilizzano (bene) le potenzialità di Google Arts and Culture, come il Mann e il Museo di Capodimonte a Napoli e la Gnam a Roma. Il 49% dei musei ha sviluppato il servizio di iscrizione alla newsletter, mentre solo il 37% ha adottato specifiche attività (tra cui mostre virtuali) e servizi educativi online.
Un’analisi più approfondita rileva difformità evidenti e pochi casi che rappresentano reali e avanzate «best practices», come gli Uffizi che hanno messo a punto una vera e propria complessa strategia di narrazione digitale diversificata per contenuti, target e strumenti, i Musei Reali di Torino, la Pinacoteca di Brera e il Parco del Colosseo, che hanno attivato piattaforme per la fruizione solo digitale del museo («È Reale», «Brera plus» e «Parco online»). In ultimo va rilevato che, eccezion fatta per Pompei, Colosseo e Paestum, i parchi archeologici esprimono attività digitali limitate rispetto ai musei e sovente presentano siti web datati e più di tipo operativo amministrativo che scientifico promozionale.
Il quadro generale non appare quindi confortante, e questo nonostante il fatto che il Mibac si sia dotato di un Piano Triennale per la Digitalizzazione e Innovazione dei Musei (2019) e che gli stessi utenti apprezzino la dimensione digitale del museo (Fonte Mibact, «Indagine sui musei luglio 2020»): i musei analizzati sono, per loro natura, tutti dotati di budget autonomo e quindi la scelta di investire nel digitale discende esclusivamente dalla politica di sviluppo imposta dal direttore in carica.
Ciò vale anche per ambiti specifici. Sul fronte traduzioni, ad esempio, visti i consistenti flussi internazionali richiamati dal patrimonio storico artistico italiano, dovrebbe far riflettere il constatare che il 74% dei musei abbia il proprio sito web tradotto soltanto in lingua inglese (ma la Reggia di Caserta, ad esempio, ne è sprovvista) e che solo 3 su 40 lo hanno tradotto in tedesco (nonostante il numero di turisti tedeschi, non tutti anglofoni).
Tra i social network, i musei si concentrano perlopiù su Facebook, con assenze oggi ingiustificabili su altri canali. Sono completamenti assenti, ad esempio, dai maggiori social per intercettare il turismo di massa estero, come ad esempio la Cina con i canali Weibo e We chat. Rispetto ai musei stranieri, inoltre, i numeri dal punto di vista sia quantitativo (follower) sia qualitativo (engagement) non sono sicuramente all’altezza del valore e del potenziale che i musei autonomi italiani possiedono, a eccezione dei musei con un brand già solido e riconosciuto (Uffizi, Pompei, Reggia di Caserta, Brera).
Il resto degli istituti non può vantare sui social prestazioni significative, basti pensare che su 38 pagine Facebook ben 29 sono sotto i 30mila follower e 19 su 35 account Instagram sono sempre sotto i 30mila; su Twitter solo 3 account superano i 20mila seguaci e su YouTube solo 5 risultano avere più di mille iscritti (il Rijksmuseum ne conta 12mila, la National Gallery 119mila).
Bene le prestazioni di Uffizi e Pompei che per engagement complessivo su Facebook, Twitter e Instagram staccano di gran lunga tutti gli altri; su Twitter eccelle Brera, su Instagram gli Uffizi, su Facebook Pompei. Si segnalano, oltre a quelle dei musei più noti, le performance di engagement rate del Parco archeologico di Ostia antica, dei Musei del Bargello e del Museo Storico e Parco del Castello di Miramare. Le valutazioni espresse vanno contestualizzate al momento che stiamo vivendo, in cui il digitale ha avuto in dote nuovi target e un pubblico molto più ampio fino ad allora lontano dall’uso soprattutto dei social network che dunque impone ai musei stessi di dotarsi di una forte strategia digitale. La ricerca completa consultabile sul sito.
Spotify e latino
La sezione «Playlist di mostre» collegata a Spotify della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma; i laboratori artigianali online del Marta, Museo Archeologico Nazionale di Taranto; la spiegazione in latino con sottotitoli in italiano delle opere archeologiche degli Uffizi di Firenze.
Record social
Su Facebook gli Uffizi dominano nell’«engagement rate» staccando di 12 punti il secondo in classifica, il Parco di Ostia antica, e su Instagram (più di 600mila follower, circa tre volte Pompei che è al secondo posto); Brera cinguetta più in alto di tutti su Twitter ma è Pompei a dominare l’engagement; su YouTube i musei non brillano in quanto a iscritti e i più attivi sono il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e gli Uffizi.
La domanda è...
Quanto interessa ai musei autonomi intercettare nuovi pubblici e visitatori in vista della riapertura? E, se interessa, quando e come pensano di sviluppare strategie adeguate per farlo? Quanto occorre attendere per avere una piattaforma dove consultare tutte le collezioni dei nostri musei sul modello, ad esempio, dell’Associazione dei Musei della vicina Svizzera? E la domanda delle domande: al Ministero della Cultura interessa far convergere i musei in un unico brand nazionale?
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