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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliCent’anni fa nasceva il più celebre artista tedesco del secondo ’900. In vita era un mito, ora per molti è un ingombrante residuo di utopie passate di moda. Eppure anticipò tutti i temi oggi di stringente attualità: il ruolo politico dell’artista, l’impegno ambientalista, il rapporto tra arte e scienza. Ma se è così, perché lo sciamano del feltro, del grasso e del miele ora ci mette quasi in imbarazzo?
Meglio l’olio del silicone
Il centenario contribuirà a rileggere Beuys, ricollocandone la figura in ruoli meno folkloristici, scandalistici o sciamanici a buon mercato? Sinora i tentativi si riposizionamento di questo ingombrante monumento a se stesso hanno dato esiti contraddittori, sebbene, in alcuni casi, spettacolari, come la mostra curata da Nancy Spector per la Guggenheim Collection di Venezia nel 2007, dove veniva accostato a Matthew Barney attraverso il comun denominatore della mitologia, della metamorfosi, della performatività, di presunte aspirazioni neowagneriane e, perché no, della prossimità del grasso e dell’olio beuysiano con l’untuosità siliconica dell’ex modello di Armani ed ex giocatore di football americano.
Il problema di Beuys, oggi, è costituito dal suo idealismo individualista in un mondo artistico che predica la collettivizzazione (talora spettacolare) dell’estetica relazionale e soprattutto guarda all’idealismo di matrice modernista come a un tabù. Oppure ne fa orpello citazionista, magari scherzandoci anche un po’ su. Ma a lui erano estranee tanto la citazione quanto l’ironia.
Fu l’idealismo romantico di Beuys, del resto, a distinguerlo anche in seno a Fluxus, di cui non poteva condividere certo il gusto parodistico e neppure i cascami del Dadaismo. Di eredi, in giro, se ne vedono pochi: artisti come Pierre Huyghe o Carsten Höller sembrano più interessati alla creazione di mondi paralleli, mentre Beuys operava nel cuore del mondo presente e reale. Le schiere dei politicamente impegnati scambiano il contenutismo e la denuncia per azione visionaria e diretta: basti pensare a Hito Steyerl.
I nostri Giuliano Mauri o Eugenio Tibaldi, pure molto attivi in ambito ambientale, sono laici «operatori culturali», lontani dalla mistica e dalla ritualità in cui Beuys credeva, giacché, secondo il suo (steineriano) pensiero, il mondo è il risultato della trasformazione impressa dallo spirito. Forse Beuys se n’è andato per sempre e, nonostante l’immagine sia stracarica di retorica, se proprio dovessimo identificarlo lo faremmo nel maturo e meditabondo Cavaliere che, nell’incisione di Dürer, si avvia verso la sua virtuosa Città del Sole, conscio della presenza dei suoi compagni di strada: la Morte, il Diavolo, ma anche il fedele e malinconico Cane, ancora un animale totemico, come la notturna lepre.
Ma il presente, si sa, è cinico e crudele, soprattutto con i santi e con gli eroi: il suo mitico giubbotto multitasche da pescatore è oggi la divisa di Napalm 51, il complottista terrapiattista e odiatore da tastiera interpretato da Crozza. Ma, se il comico genovese fa ridere, c’è al contrario da piangere se, dopo aver tacciato di neonazismo e di misticismo d’accatto il povero Beuys, oggi si celebra (e si vende) come il prodotto di un genio la pittura «esoterica» di Hilma af Klint.
ACHTUNG BEUYS!
Non dimentichiamo l'uomo col cappello
1. Le pietre volanti
2. Un padre negato
3. Il profeta alla lavagna
4. L'uomo che volle essere Goebbels
5. Eppure era uno scultore
6. Meglio l'olio del silicone
7. Un mercato colto e democratico
8. A Napoli l'ultimo atto
9. In Germania piovono mostre
10. Politici, imparate da lui
I «PRIMATTORI» di Franco Fanelli

Le opere di Joseph Beuys nella mostra «Ouverture» al Castello di Rivoli

Joseph Beuys nel 1965
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