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L’Archivio della Fondazione Collezione E. G. Bührle nella Biblioteca del Kunsthaus Zürich

Foto: Kunsthaus Zürich, Franca Candrian

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L’Archivio della Fondazione Collezione E. G. Bührle nella Biblioteca del Kunsthaus Zürich

Foto: Kunsthaus Zürich, Franca Candrian

Ancora accuse per la Collezione Bührle

È quanto emerge dal nuovo, atteso rapporto sulla possibile provenienza da spoliazione in periodo nazista di opere della collezione creata tra il 1936 e il 1956 da Emil G. Bührle, oggi in parte in comodato alla Kunsthaus di Zurigo

Flavia Foradini

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L’intento del riesame della controversa Collezione Bührle (commissionato il 12 maggio 2023 congiuntamente dal Comune di Zurigo, dal corrispondente Cantone e dalla Zürcher Kunstgesellschaft che gestisce la Kunsthaus Zürich) era di promuovere ricerche sulla provenienza «indipendenti e conformi ai più elevati standard scientifici». Al tempo stesso, si voleva anche stabilire se il precedente esame delle provenienze delle 203 opere in comodato permanente dall’ottobre del 2021 corrispondesse allo «stato dell’arte internazionale» e fornisse un «affidabile fondamento» operativo ai sensi dei Principi di Washington: «La Kunsthaus non può esporre opere per le quali vi siano sostanziali indizi di spoliazione in periodo nazista», si diceva. Da qui un articolato e puntuale elenco di punti da chiarire con la nuova indagine: innanzitutto un riesame di tutte le precedenti ricerche sulla provenienza ma anche l’individuazione di eventuali elementi o temi da approfondire in futuro. Il budget previsto e interamente a carico del comune di Zurigo era di 730mila franchi svizzeri (circa 750mila euro), di cui 128mila per il perito.

L’incaricato, lo storico elvetico Raphael Gross, attuale presidente del Museo di Storia Tedesca di Berlino, ha ora fornito il suo parere: 167 pagine di giudizi severi. Il rapporto mette in discussione innanzitutto i criteri concernenti le 90 opere che le ricerche precedenti avevano individuato come caratterizzate da «provenienza lacunosa ma prive di indizi problematici». La Kunsthaus ha certamente investito risorse in molte ricerche interne e con la nuova presentazione museale della collezione nel novembre 2023 «ha compiuto un grande passo verso una contestualizzazione etico-storica», si legge nel Rapporto; tuttavia «questo non basta per soddisfare i criteri fissati nel contratto di sovvenzione dell’istituzione da parte della Kunstgesellschaft e degli altri finanziatori». Quelle ricerche, continua Gross, «attualmente non possono garantire la contestualizzazione originaria delle opere della collezione, la storia dei proprietari originari nonché della provenienza delle opere e della storia personale di Emil G. Bürhle (1895-1956, industriale e collezionista svizzero di origine tedesca, Ndr)». In molti casi «la categorizzazione o i criteri scelti dalla fondazione Bührle sono inadeguati» e i risultati «solo parzialmente comprensibili».

Raphael Gross. Foto © Julia Zimmermann

I precedenti esami avevano fra l’altro appurato 41 casi di proprietari ebrei ma, scrive ancora Gross, «ne sono stati individuati altri 21. Solo se anche questi casi e eventualmente altri ulteriori casi verranno indagati sarà possibile considerare come raggiunto l’importante e giusto obiettivo di presentare le opere nel loro contesto storico».

Nel suo studio Gross ha preso in considerazione cinque opere paradigmatiche di Willem Kalf («Acquamanile», 1600 ca), Paul Gauguin («La strada», 1848), Paul Cézanne («Paesaggio, 1879 ca, e «Madame Cézanne con ventaglio», 1879-88) e Vincent Van Gogh («Testa di una contadina», 1885), perché le ricerche precedenti non sarebbero state tali da conformarsi agli intenti della Kunsthaus essendo «spesso superficiali» e quindi da approfondire. Nelle sue tre raccomandazioni, Gross esorta quindi a continuare le ricerche, concentrandole sulla spoliazione degli originari proprietari ebrei da parte dei nazisti: «I cinque casi scelti esplicitano quali siano stati finora i problemi delle ricerche svolte, così da continuarle, ovvero prendere delle decisioni rispetto alle opere». Gross raccomanda anche la creazione di un comitato che lavori con un approccio multidisciplinare allo sviluppo di uno schema di criteri di indagine sulle spoliazioni naziste, da applicare sia alla collezione della Kunsthaus, sia alle opere in comodato. La terza raccomandazione prevede un ulteriore dibattito, «anche pubblico», sul tema della collezione Bührle. Certamente il comodato di una parte della collezione di 633 opere acquisite da Emil G. Bührle tra il 1936 e il 1956 «nobilita il nome della Kunsthaus», conclude Gross, ma sulla base dei risultati del rapporto va affrontata la questione «se un’istituzione pubblica vi possa trovare consonanza con la propria posizione etico-morale».

La parola passa ora ai committenti del Rapporto. Le loro valutazioni arriveranno presumibilmente entro luglio.

Flavia Foradini, 08 luglio 2024 | © Riproduzione riservata

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